Il dolore e la ferita dell’amore

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VALENTINA CASADEI

Con questi miei occhi incostanti per essere amata
nel letto dove resterò tutta la vita
accolgo la sincope

Sono quella donna che indossa la notte negli abiti
che ha sogni che fanno evaporare il mare
che si pota per rendersi più fertile

Quella donna che non è madre ed è rimasta figlia per forza
che ha un sapore di fuoco e di ferro
che avanza come il dito in un guanto

Accolgo la sincope
nel letto dove resterò tutta la vita
con questi miei occhi incostanti per essere amata

***

Quando moriremo smetteremo di conoscerci
e i nostri vestiti usurati dai mali
saranno annusati da nasi senza emozioni
da narici sconosciute
che non potranno riconoscere
la fragile natura del nostro legame
l’espansione del nostro vuoto interiore
la notte potrà sembrare lunga
e le assenze scintilleranno
fino ai capelli bianchi e l’ultimo sogno

***

Mi fido delle persone smarrite
perché sono la verità del nostro stare al mondo
grandi battagliere
hanno ferite visibili, impossibili da nascondere
così ci si ritrova tutti rotti strappati appassiti
per qualcosa qualcuno un imbroglio un errore
per gesti che dicono addio
a tutte queste cose che chiudono gli occhi

***

Sperare che il tuo profumo di ieri
sia ancora nella stanza
sognarci minuscoli
in una fila di formiche
a farci calpestare insieme

***

La tua assenza passa inosservata
nessuno può dire ciò che mi manca
e mentre gli anni trascorrono sul mio cuscino
riposo in segreto
le solitudini mi scivolano via dalle dita
e nei miei lutti accumulati
trattengo il respiro
conto fino a un milione

***

Senza poter contare su nessuno
si direbbe che un dio si è perso
sono stanca di cercare le perle
tanto sono nata per qualcuno
crescere non serve più a riempire il cuore
ora desidero solo pace senza trionfo

C’è ancora una pena che conosco male
ancora una pena da scoprire, sentire, tollerare nella sua interezza

***

Bufere genealogiche
di figli non visti
e nell’incontinenza delle confidenze
la violenza del disamore

Valentina Casadei, Abitare la ferita, I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno 2024

Nessuno può spiegare perché finisce l’amore. Non c’è un momento preciso in cui si può identificare la caduta; non c’è un percorso canonico di salvezza o di recupero del rapporto “strappato”. C’è solo il presente inesorabile. Il dolore è troppo grande per poter razionalizzare l’accaduto. Solo il tempo, o l’allontanamento dai luoghi in cui la vicenda si è rotta, può lenire lo “strazio”. Lei si domanda: sono io a non aver capito nulla, a non aver saputo intuire le debolezze e agire per rafforzare il rapporto, il dialogo, la tenerezza. I ricordi del suo profumo, del suo modo di muoversi, dell’inadeguatezza dei suoi comportamenti (senza rimedio quell’arrivare sempre in ritardo), servono ben poco per cercare un chiarimento (surreale, impossibile). [...]

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(A cura di Silvia Pio)