SILVIA PIO
Risulta ovvio che un paese attaccato da un altro paese debba difendersi ed è opinione di molti che dalla guerra ci si difenda solo con la guerra. Ma in questo modo si raddoppiano, anzi si moltiplicano esponenzialmente i danni e soprattutto i morti, e la voglia di vendetta che potrebbe andare avanti per anni.
Inoltre se ci fosse una guerra nucleare il risultato darebbe sempre un risultato pari a zero: annientamento di vite umane, di centri abitati e di una parte importante della vita sul pianeta.
Allora come si deve comportare una comunità, un popolo, un paese, che viene invaso o attaccato da un altro paese, un altro popolo, un gruppo di terroristi?
Prima di provare a rispondere, cerchiamo di approfondire la differenza tra guerra e questo concetto che ha nell’etimologia della parola un significato spaventoso. Secondo Raniero La Valle (articolo sul bimestrale Qualevita, giugno 2024) la guerra si fa con armi pubbliche mentre il terrorismo usa armi private, ma «il terrore è lo stesso… Lo stesso nemico combattuto con la guerra è combattuto col terrorismo; tanto è vero che per tutto il Novecento prevenire la guerra si è chiamato “deterrenza”, cioè fronteggiare il terrore col terrore.»
Non c’è quindi differenza sostanziale tra guerra e terrorismo, non si può giustificare la prima se fatta contro il secondo né è accettabile usare il secondo come mezzo di dissuasione o di innesco della prima.
Inoltre la guerra non è più quella che si è conosciuta fino all’inizio del Novecento, persino considerata giusta dalla vecchia teologia della Chiesa. La guerra moderna usa la tecnologia: droni, sensori, alianti, carburante a idrogeno per i mezzi militari, fino ad arrivare alla robotica e all’Intelligenza Artificiale. L’”arte bellica” convenzionale viene sostituita da sistemi ibridi che combinano guerra cibernetica, tecnologie immersive e chissà quali altre diavolerie che rendono sempre più esponenziale la distruzione e imprevedibili i risultati delle azioni belliche. «Questi cambiamenti hanno portato una maggiore letalità e distruzione del combattimento della guerra e reso le linee di conflitto più imprecise, sostituendo la guerra diretta con nuove forme ibride o con tattiche situate in zone grigie, nelle quali le minacce si sono diffuse e gli attori coinvolti sono aumentati e aumentato è il loro potere» (https://www.orfonline.org/research/future-warfare-and-critical-technologies-evolving-tactics-and-strategies).
E il terrorismo, usando la stessa tecnologia, può fare distruzione al pari della guerra combattuta dagli stati.
Vogliamo poi parlare della guerra nucleare? «Le armi nucleari sono le più distruttive, inumane e indiscriminate mai create. Sono diverse da ogni altra arma, sia per la scala di devastazione che procurano sia per le conseguenze di una gravità unica: persistenti, diffuse, geneticamente dannose… L’uso massiccio cambierebbe il clima globale e causerebbe carestie diffuse [come se non bastasse l’inquinamento NdA].» (https://www.icanw.org/catastrophic_harm).
Torniamo alla domanda iniziale, come si deve reagire ad un attacco, bellico o terroristico? Per rispondere, prendiamo spunto da un articolo di Enrico Peyretti (Qualevita, giugno 2024): si deve trattare, mediare, patteggiare. «Sviluppare la resistenza fisica popolare non violenta, accompagnata della mediazione diplomatica internazionale e dalla interposizione di polizia internazionale e di corpi civili di pace. La patologica folle volontà di potenza può essere controllata e contenuta dalla più forte e più diffusa e più naturale e più vitale volontà di vita universale.»
Si deve richiedere con ogni mezzo alla politica nazionale e internazionale di agire per la risoluzione pacifica dei conflitti. Si devono sostenere obiettori e disertori, ce ne sono in ogni guerra, e compiere azioni di boicottaggio economico. Si deve manifestare senza sosta per informare le menti, sensibilizzare i cuori, smuovere le coscienze.
«Certo, incombe su tutto il macabro calcolo dell’industria militare, che è causa e spinta alle guerre e che comanda i governanti», il cui arricchimento basato sulle morti e sulle distruzioni è moralmente inaccettabile.
Scriveva Eraclito nel 500 a.C. circa: «Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte le cose è re; gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi». La guerra, quindi, è insita nella natura umana e ci accompagnerà per sempre?
Sono passati 2500 anni dall’affermazione di Eraclito, il mondo e l’essere umano sono cambiati profondamente, e, come abbiamo detto prima, il modo di fare la guerra si è “evoluto” in maniera impensabile solo alcune decine di anni fa. Si può, e si deve, mettere in discussione il paradigma secondo il quale c’è una sola strada per difendersi: armarsi più del nemico, in una spirale di accumulo di equipaggiamento e tecnologia bellici.
La guerra deve, e può, essere ripudiata, come indica la nostra Costituzione; la pace deve, e può, essere trovata e costruita.
Terminiamo con un pensiero di Etty Hillesum, tratto dai suoi diari, che illumina un ulteriore aspetto della questione: «Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile…»