L’esistere quotidiano nella poesia di Alessandro Barbato

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ALESSANDRO BARBATO

1
Chiamami lontano
da tutte le parole che ho suonato
per esistere al contrario,
dall’oro dei tuoi passi che promettono
l’estate, dal chiacchierare
esausto delle vecchie sui balconi.
Dammi l’altra mano:
conduci i miei pensieri fino al bordo
dei piaceri che hai scartato,
convincimi a resistere ai richiami
di altri giorni e ad ogni polline
nutrito dagli scoli di grondaia.
Chiamami, ma piano,
e portami lontano nei deserti
che il mio tempo ha costruito
e con pazienza maniacale, guarda
solo alle mie mani mentre
tremano (se ti cercano nell’aria).

Al contrario (chiamami lontano)

2
Un soffio dolce, caldo era il tramonto
ieri sera. L’ho veduto
dalla casa di mio padre, era soffice
la luce che moriva dietro i pali
della nostra ferrovia. È stato
un gioco lento di riflessi d’oro,
viola, azzurri e rosa che parevano
aggrappati all’estremità del tempo
per tentare di convincere
la notte ad aspettare ancora e ancora:
ché non basta qualche stella
da cercare per difenderci
dal buio che hai lasciato dietro agli occhi.
Un formulario magico sembrava
darsi al mondo ieri sera, mentre
il cuore mio sui vetri disegnava
ancora vicoli e castelli d’aria
e musica che non tu puoi ascoltare,
ma non posso far tacere.

Breve formulario in vista del tramonto

3
Asseconda ogni mio istinto marino
anche di inverno, quando si sciacquano
alla pioggia e col sale che lasciano
tutte le notti passate a frugare
gli scarti del giorno degli altri,
le schegge di luce che fasciano
il sonno e gli anni lontani.
Resta con me, sott’acqua il silenzio
ci lascia vedere con occhi
di insetto le sbarre del tempo
che puoi oltrepassare, se vieni
a salvarmi dal freddo e dal male
che porto nel mondo, che sento
talvolta spellarmi le mani.

Preghiera per le notti di vento

4
Non ti tradisce il vento, o i vortici
di sfalci mentre tracimano
i giorni. Le notti neanche mentono:
respirano più cieche solamente,
quando sembra il tempo un sogno
e ancora sveglio aspetti un’altra
volta il senso da quel graffio d’alba
grigia che perfora la serranda.
Dimenticano presto d’esser stati
ragazzini i nostri sguardi,
ma capita in domeniche d’autunno
come questa, di sentire lieve
un piccolo gorgheggio di quell’aria
imbottigliata appena nata, in certi
piccoli singhiozzi che rimangono
fedeli come cuccioli di cane:
crudele carezzare i nostri occhi
per un attimo, a sbavare via
la luce dai confini che tracciamo
tra i pensieri, le paure, le parole.

Alta fedeltà

5
Fiorisce il bucaneve anche fra i ghiacci
delle nostre conclusioni, rivolto
il cuore verso il fondo della notte,
giù a terra, alla memoria di radici.
Così tu mi ricordi quel che è vivo
e sta nascosto tra le fredde mani
bianche dei giorni screpolati o i lenti
raggi del Sole di Gennaio. Vieni
a raccontare agli occhi che sapranno
anche ascoltare, di lontane estati
candide come è adesso anche la neve,
e spunti un po’ in anticipo o in ritardo
tra gelate che tagliano la pelle,
tremante in mezzo a un sorgere e a un cadere.

Bucaneve

Alessandro Barbato, Piccola mappa per giorni comuni, Versiedizioni, 2024.

«Una piccola e forse volutamente inaffidabile guida alla scoperta dell’esistere quotidiano che muove dalla matura, ma non meno amara consapevolezza di ciò che di sé e del mondo va fatalmente perso, in certi casi anche gettato via, durante il viaggio. Un istintivo, quasi prelogico movimento stimolato dal richiamo di un ipotetico tesoro che probabilmente altro non è che proprio questo, a tratti ingenuo, tentativo di porsi in ascolto del mondo, cercando attraverso l’improbabile mappa rappresentata dalla poesia di coglierne il suono, la frequenza, di inserirsi nei piccoli frammenti di un discorso eterno, universale, di cui siamo minuscola, fugace ma unica parte, spesso illusa di esserne il tutto.»

(Da “Avvertenze”)

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(A cura di Silvia Pio)