ANNA STELLA SCERBO
«Sono sicura di non aver mai scritto un romanzo, di quelli veri, un’opera di pura immaginazione […] libera da qualsivoglia alluvione di ricordi e di egoismo […] alleggerito di ciò che di meglio e di peggio c’è in me»
Colette – Le Figaro, 1937
Separare Colette donna da Colette scrittrice è operazione ardua che ha affascinato biografi e critici. Colette è di volta in volta perversa e purissima, torbida e innocente. La vediamo nascere, nuova e diversa, nella scrittura e nella vita sicché ci riesce difficile non cadere nella trappola della biunivocità che vorrebbe ogni opera di Colette rispondere simmetricamente ad una fase della sua vita. È dalle fitte, intense, alterne vicende della sua vita che l’opera di Colette si origina svelando la sua stessa ragione d’essere. Di sicuro non ne è un documento. Colette inventa e reinventa sé stessa ogni volta che le è dato di stare sulla scena, figurata o reale. Un solo nutrimento muove le sue intenzioni, quello che sa di poter trarre da sé stessa. Scrive nella Naissance du jour: «Mi accuso di aver voluto fin dall’infanzia brillare […] È un’ambizione che non mi abbandona […] la volontà di sedurre di dominare».
Nella casa di rue de l’Hospice a Saint-Sauveur en Puisaye, nello Yonne, nasce alle 10 di sera del 28 Gennaio 1873 Sidonie Gabrielle Colette da Sidonie Landoy, vedova Robineau-Duclos e dal capitano Jules Colette.
Colette bambina vive di musica e di libri. «Erano tutti musicisti in famiglia», dirà ad Andrea Perinaud. Legge anche molto e misura il suo gusto di lettrice su Hugo che non ama, su Dumas padre di cui apprezza solo Le collier de la reine. Detesta Zola e si affeziona a Taine.
Nel 1891, a causa di avverse condizioni economiche i Colette si trasferiscono a Chatillon nel Loiret. Colette ha perduto il suo Paradiso
«Quella casa che risuona asciutta, croccante come un pane appena sfornato, il villaggio… Al di là tutto è pericolo, tutto è solitudine».
«La foresta, la libera foresta» le apparteneva e ne sentirà sempre l’eco. “La libertà”, la sua più urgente invocazione. Bere alle sorgenti, il suo desiderio “quella che sa di foglia di quercia” e quella che “odora di ferro e di giacinto”. Nel giardino raccoglie “la mora”, la “ciliegia selvatica”.
Al loro arrivo a Châtillon sur Loing i Colette vengono accolti dai notabili del luogo. Colette si annoia. La salverà Parigi da un destino anonimo? Nella capitale, gode di grande considerazione la famiglia Gauthiers-Villars. Solidamente radicata in un territorio di provincia a Lons Le Saunier, possiede una casa editrice (la prima in Francia a pubblicare opere scientifiche) ed una tipografia. Il capostipite, Jan Albert Gauthiers Villars le aveva fondate nel 1864 e nel 1888 aveva reso soci i due figli, ad Henri era andata la casa editrice, ad Albert, il minore, la tipografia. È con Henri Gauthiers, che Colette, ospite a Parigi del generale Cholleton, va a teatro.
Ad Henri non faceva difetto una certa dose di protagonismo. Aveva pubblicato una raccolta di sonetti e per le pubblicazioni scientifiche si attribuiva meriti che non gli appartenevano. Non gli veniva riconosciuto alcun vero talento. Per la letteratura leggera si firmava Willy. Grande ammiratore di Wagner, dichiarava incomprensibile Mallarmè e attaccava Zola. Minore insolenza riservava a Mark Twain.
Willy non era un decadente, né un parnassiano, né un naturalista. Era semplicemente un fantasista che si muoveva in più direzioni senza prenderne una sicura. Il film di Wash Westmoreland del 2018, nel renderne la personalità, non si discosta dalla realtà di questo impenitente libertino, riportata in varie biografie.
Altrettanto senza sicura direzione era infatti la sua vita sentimentale. Non gli dispiacevano le donne molto più giovani di lui e si mostrava scettico circa il sentimento d’amore. Il 21 Aprile 1893 scriveva al fratello Albert: «L’amore, quello grande e ardente, […] penso proprio che sia una storiella […]».
Il matrimonio con Gabrielle viene celebrato a Chatillon il 15 Maggio 1893. A fine giugno del 1893, la coppia va ad abitare al 28 di rue de Jacob.
La frivola Parigi della Belle Epoque è pronta ad accogliere questa ragazza di campagna che vive prima all’ombra del marito e rivendica, dopo, la sua personalità libera e affrancata da ogni convenzione sociale. Donna, scrittrice, attrice scandalosa al Moulin Rouge.
Willy è infedele e Colette se ne ammala. Non le manca l’affetto di amiche come la signora Arman de Caivaller e Marguerite Romeno che le resterà fedele fino alla morte nel 1948. Anatole France, evidentemente innamorato, le invia le bozze non ancora corrette di Puits de Sainte Claire.
Il 1895 Colette debutta come scrittrice con la prima versione di Claudine à l’école e collabora a La Cocarde che riuniva un gruppo di intellettuali con capofila Charles Maurras che scrive di lei; «Il basco calato sull’orecchio, la treccia che batte sui tacchi, mentre fa finta di correggere le bozze del marito, la signora Willy, ascoltava a volte quei dotti sproloqui; né Claudine à ľ école, né Claudine à Paris sapranno mai dire con quale atteggiamento».
Sullo stesso giornale Colette pubblica sei cronache musicali firmate “Colette Gauthier-Villars”.
A Charles Maurras Colette scriveva: «Grazie, caro Signore di seguire i miei scritti con tanta benevolenza […] Voi pensate nevvero che Willy mi abbia aiutata, soprattutto con i giudizi musicali. Da sola non avrei saputo dire cose così precise e soprattutto mi sarebbe mancata l’audacia. Forse verrà».
La pubblicazione di Claudine à l’ecole, nel 1900 non le suscita alcun sentimento. Willy, il marito vampiro la costringe a rimanere chiusa nella sua stanza. Lei doveva scrivere e lui firmava come proprio il lavoro di lei. Con il ricavato dei diritti del libro, il gentiluomo Willy compra la proprietà dei Monts- Bouccons, con una fattoria a tre chilometri da Besançon e un terreno privato. Colette ritrova i colori e i suoni dell’eden della sua infanzia. Per soli cinque anni, dal 1901 al 1905, in estate e in autunno, quella casa bassa e umida appoggiata ad alberi secolari dà a Colette nuova linfa vitale. Là scrive La Retraite sentimentale in cui la casa «è casa amabile fra tutte».
Nonostante la sua sensibilità per le bellezze naturali, di sentimento artistico ne possedeva ben poco. Ignorava Picasso e Modigliani, solo col tempo prese in considerazione Matisse. Amava, per formazione infantile i musicisti, fra tutti Debussy. Fra il gennaio e il luglio del 1903, scrive le recensioni Claudine au concert, Claudine au Conservatoire, poi riassunte da Willy nel 1927 col titolo Claudine musicographe e pubblicate nello stesso anno sul Mercure de France. Era sempre lui, Willy, il regista che dietro le quinte programmava, sorvegliava, correggeva,
A dieci anni dal matrimonio, Colette a trent’anni ha fama di donna emancipata, libera di parola, stravagante. Alphonse Séché, uno dei collaboratori di Willy, racconta: «Willy mi ricevette in pigiama […] A un certo punto nello specchio dell’armadio, in fondo alla stanza, scorgo Colette completamente nuda […] Willy guarda, ride e dice: “Sapete che Séché vi vede nello specchio?” –Spero che non gli dispiaccia- risponde Colette senza scomporsi»
Ancora di lei non si parla come di una donna di lettere, le Claudine portano la firma di Willy. Colette, che sappiamo, vuole dominare, ha acquisito la piena consapevolezza di essere scrittrice. Ed è questo che fermamente vuole dimostrare. Nel 1906 esce Dialogues de betês firmato “Colette Willy”.
Colette è tentata dalle scene, all’inizio recita soltanto in privato. A casa di Natalie Barney, (scrittrice statunitense che abitò sempre a Parigi e fece della sua casa, al 20 di rue Jacob un salotto letterario internazionale) a Nizza a casa di Renée Vivien, poetessa simbolista e parnassiana. Su una vera scena debutta il 6 Febbraio del 1906, alle 11 di sera al Théâtre des Mathurins. A marzo recita a Montecarlo e sebbene le sue parti siano molto brevi, acquista subito fama di grande attrice. In realtà, quello di Colette è un grandissimo talento mimico. E lo dichiara tutto con La Romanichelle il 15 dicembre 1906. Al termine della pantomima che figurava all’ottavo posto tra gli undici numeri dello spettacolo, riferisce il cronista di Les Sports, «il sipario calò in un uragano di applausi. »
Soprattutto non suscita alcuno scandalo, nonostante giorni prima il giornale Le Rire, si fosse scagliato contro Colette e Missy. È con Missy, infatti, marchesa Mathilde De Morny, che Colette ha recitato sul palcoscenico. La marchesa è una donna libera e stravagante, bersaglio della critica satirica, cosa di cui va fiera così come della pessima fama che l’accompagna.
Fu grande l’amore tra le due donne che recitarono insieme al Moulin Rouge.
Colette continuò ad avere successo nonostante qualche critica autorevole continuasse a muoversi contro di lei e le sue performance che la vedevano ‘quasi nuda’ muoversi con disinvoltura sul palcoscenico non in calzamaglia ma avvolta in veli svolazzanti intorno alle sue forme, che ad accogliere i tanti pareri che apparivano sui giornali, erano robuste e ben piantate e soprattutto seducevano senza scampo. Il culto della bellezza del corpo era ciò che contava di più per Colette. Quando il mimodramma La Chair veniva rappresentato, che fosse a Ginevra, a Nizza o a Montecarlo o persino a New York l’aura di scandalo che lo precedeva giovava all’incremento del pubblico. Il successo, il suo nome ormai noto oltreoceano soddisfacevano la sua sete di affermazione e di dominio.
«[Colette] dà l’impressione insieme della spudoratezza e dell’ingenuità […] Ella ha celebrato la carne imperiosa […] C’è qualcosa di avidamente sensuale […] Si avvolge in un velo bianco. Si drappeggia, si scolpisce […] porge il seno scoperto, eretto, poi si porge con tutta la sua nudità […] Noi ci lasciamo dominare dal suo volere pur sentendo in lei qualcosa di inesplicabile e di purissimo».
Così nel 1913 il critico e artista Louis Delluc che la giudicava superiore persino alla bella Otero.
Colette, sposa nel dicembre del 1912 il barone Henry de Jouvenel, detto Sidi che è divorziato ed ha un figlio, Bertrand. Nuovo amore, dunque e nuovo matrimonio. I rispettivi amanti vengono liquidati senza colpo ferire. Il 3 Luglio del 1913 nasce la piccola Colette.
Il 15 gennaio del 1914, Femina pubblica un testo col nome Maternitè e annuncia con grande enfasi l’inizio della collaborazione con Colette.
A Colette però, i luoghi comuni non piacciono, figuriamoci quelli su un argomento che solitamente ne è intriso. Così in una lettera si rivolge al direttore della rivista-
«Il fatto che io sia madre non riguarda il lettore. Io gli offro un’opera che mi auguro letteraria. È l’autore a presentarsi al suo cospetto e non la donna e se ha il diritto di giudicarmi come scrittore, il suo diritto finisce lì […]»
Colette, è chiaro, ancora una volta, rivendica il suo ruolo di scrittore.
(La seconda parte si trova qui)
(A cura di Silvia Pio)