Chiedere pace ricordando i Partigiani caduti

loc_cammina-rid

LORELLA GALLO

Se qualcuno si chiederà per quale motivo il gruppo delle Donne in cammino per la pace di Mondovì ha deciso di collegare i propri flashmob con un percorso partigiano, riceverà una risposta, per così dire, “ramificata”.
Siamo in cammino e per questo abbiamo pensato di non limitarci alla presenza settimanale silenziosa, che lascia parlare i cartelli e i nostri corpi in lutto per le guerre del mondo.
Abbiamo pensato di costruire una sorta di gemellaggio, camminando sulle tracce lasciate da persone che hanno deciso di non essere indifferenti alla violenza del loro tempo.
La loro scelta individuale segna le date fondanti della nostra repubblica, che ha evidenti e ineliminabili radici antifasciste. Dall’8 settembre 1943, attraverso il 25 aprile 1945 e il 2 giugno 1946 si è arrivati al 27 dicembre 1947. Ed è proprio dal rifiuto della guerra contenuto nell’articolo 11 della Costituzione Italiana, approvata a larghissima maggioranza dall’Assemblea Costituente, che acquista senso il nostro collegamento con la scelta partigiana.
Il saluto che porteremo ai protagonisti dei cippi nel nostro percorso prende, però, le distanze da una lettura vecchia e un po’ enfatica, che sottolinea unicamente l’aspetto eroico o di vittime dei partigiani. Accogliamo, quindi, con interesse e vicinanza quanto espresso dalla storica Chiara Colombini nel suo ultimo saggio “Storia passionale della guerra partigiana”. La storica ci invita a non appiattire tutto in un eterno presente: allora non esistevano categorie di pensiero come obiezione di coscienza e pacifismo, per questo non deve apparire strano un gemellaggio fra Donne in cammino per la pace e Resistenza in armi.
Incisi nelle lapidi ci sono i nomi di persone che, proprio per avere vissuto la quasi totalità della loro vita in un’atmosfera in cui la violenza era esercitata per mantenere un regime di sopraffazione della libertà, decidono di prendere le armi e di difendersi. Chiara Colombini, riprendendo l’analisi di Claudio Pavone a proposito della violenza (“Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza”, 1991), scrive [la violenza] «è il terreno di gioco stabilito dal nemico, esiste già di fatto nella situazione determinata dalla guerra e dall’occupazione ed è anzi un valore costitutivo per i nazisti e i fascisti, mentre quella dei partigiani è una risposta alla brutalità, ha un ‘carattere difensivo’.»
Passando accanto a quelle lapidi un po’ sbiadite potremmo chiederci quali ragioni – del cuore e della mente – portassero quelle persone a salire in montagna: purtroppo pochissimi (fra quelli che incontreremo) ce lo hanno spiegato, pochissimi allora scrivevano, ma tutti erano persone che convivevano con le loro luci e le loro ombre. La caratteristica che li accomuna tutti è la terribile assunzione di responsabilità che ha imposto loro scelte pesanti, come quella di anteporre la scelta delle armi a quella dei propri figli, dei propri amori. Colombini parla di un vero e proprio cortocircuito: «quello che più si desidera e che spinge a combattere è esattamente ciò a cui si deve rinunciare nel presente per sperare di poterlo conquistare nel futuro».

E se a qualcuno risultasse stridente il collegamento di un collettivo di donne per la pace a un gruppo di partigiani combattenti maschi ricordiamo che, per quanto con lentezza, fatica, compromessi e contraddizioni, la storia si arricchisce con l’esperienza e con lo studio. Se da una parte, secondo la più recente ricerca storica molte donne hanno agito, con ruoli affatto secondari, durante la Resistenza, è vero anche che la società dell’epoca, oltre a scontare un ritardo secolare nel riconoscimento dei diritti delle donne, appesantito dal ventennio fascista, dovrà aspettare ancora qualche decennio perché le donne li rivendichino in prima persona.
Anche grazie all’intensa stagione del secondo dopoguerra, caratterizzata da una grande passione per la partecipazione alla vita pubblica, si sono fatte strada nuove categorie di pensiero e nuove consapevolezze che hanno permesso l’estensione e la rivisitazione del rispetto dell’altro in chiave paritaria e solidale. Su questo processo iniziato dalla Resistenza ci inseriamo, con le nostre nuove caratteristiche, noi Donne in cammino per la pace.

Cosa accomuna noi donne in lutto per le guerre del mondo e la Resistenza? Anche noi vorremmo arrivare a dare alla nostra scelta individuale una dimensione collettiva. La nostra storia, infatti, arriva da lontano: dalle Donne in nero israeliane contro l’occupazione dei territori palestinesi nel 1988, alle Donne in nero contro la guerra del Golfo nel 1990 alle Donne in nero di Belgrado contro Slobodan Milošev nel 1991.
Questo è il manifesto proposto dalle Donne in cammino per la pace di Brescia:
«Ci muove un comune desiderio di esserci in questo drammatico presente, facendo leva sulla memoria.
“Mai più” fascismo, nazionalismo, razzismo, guerre e stermini.
Portiamo radicato nel cuore il bisogno originario di vivere in pace.
Messe al mondo dalle madri sentiamo come una offesa alla loro opera il mancato rispetto dell’integrità degli esseri viventi, le morti, le lacerazioni nei rapporti provocate da guerre e violenza.
Ci accomuna il rispetto dell’altra, dell’altro, della dignità e della salvaguardia della vita umana; ci accomuna lo sdegno per le tante persecuzioni, vessazioni, umiliazioni e riduzioni alla miseria, alla fame e alla sete, in atto nel nostro tempo.
Abbiamo scelto, ciascuna, in comunanza con altre, di esserci con modalità precise: il silenzio profondo, il cammino e l’immobilità nella postura del corpo. Praticarle consente al cuore di sentire il dolore diffuso e di vedere lucidamente l’insensatezza e la distruttività della guerra.
Condividerla fra donne, sull’onda di tradizioni inventate dalle donne, esporre i nostri corpi, non vuole essere una modalità escludente per gli uomini, ma una consapevolezza e un invito: la consapevolezza che della guerra donne e uomini vivono e patiscono un rapporto diverso; l’invito agli uomini, in virtù della differente esperienza, ad inventare modalità in sintonia con il loro desiderio di pace.
Il silenzio, in particolare, ha la forza del tuono nel farsi ascoltare e nel mettere a tacere il brusio disorientante che invade la nostra esistenza, qui ed ora. Vestito nero, straccio bianco sull’avambraccio sono i segni che ci distinguono nell’osare la pace, mutuati dal movimento pacifista delle donne israeliane di Women Wage Peace con le donne palestinesi di Women Of The Sun.
Muoviamo azioni in ogni luogo, nello stesso tempo o in tempi diversi, in un cammino che ci trova parte di una rete di condivisione aperta e rigenerativa di significati, di forza, di coraggio e di responsabilità per dire, in prima persona ed insieme ad altre:
No alle scelte dei grandi potenti che provocano le tragedie nel nostro tempo.
No alla malafede di coloro che a parole condannano le guerre, ma nei fatti le alimentano.
Stop al genocidio! Basta massacri!
Cessate di produrre e di impugnare le armi, di bombardare, di uccidere, di distruggere.
Alimentiamo, passo dopo passo, il desiderio di pace.»

Per organizzare i flashmob del sabato mattina dalle ore 11:00 alle ore 12:00 ci troviamo ogni mercoledì pomeriggio al Caffè Sociale (Stazione ferroviaria di Mondovì) alle ore 17:30, ma potete trovarci anche su Facebook e Instagram.

Vi lasciamo, infine, con le parole di Benedetta Tobagi, autrice del saggio “La Resistenza delle donne”: «se la Resistenza fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso “Voi siete qui”. Insieme alle domande: E tu, ora, che farai? Come raccoglierai questa eredità?».

Itinerario dei cippi e delle lapidi che ricordano i caduti, partigiani, civili ed ebrei, a Mondovì durante la Resistenza.

Donne in Cammino per la Pace, Mondovì

Donne in Cammino per la Pace, Mondovì

(A cura di Silvia Pio)