MICHELE GHIBAUDO
#30
E si spargono
le tempeste e gli aghi e i gridi,
a macchie, a spruzzi innestati
nei liquidi fisiologici più profondi
e le foglie non respirano al vento
e nubi d’orrore entrano
nei muri
dell’intonaco morto
che è polvere, e le case senza finestre marce
e di schegge
di un secco tempo,
guardano come la fine,
che assale e si ferma.
***
#5
L’ore hanno il quadrante nel corpo
dimezzano minuti tra le costole più alte, clavicola duole stringo,
l’attesa divora spingo
la sedia il corpo duole,
cadenza ingannare il tempo stordirlo.
Succede? Non si sente nulla?
Attesa divora con gli occhi nello specchio.
Questo studio è freddo.
Le voci sono troppo basse.
Avrei bisogno di un posto nuovo.
Il freddo venga dalla neve o dall’acqua.
Vorrei vorrebbe sciogliermi/si passare sotto alla porta.
Non sapere più cosa.
Tempo non passa.
L’ore battono nel corpo.
La pietra i cerchi liquidi.
Vorrei/vorrebbe scivolare sotto allo specchio.
Gli occhi li ho rotti
cercando gli sguardi nei fondali neri.
Sento nulla.
Non so più cosa
***
#2
E mi reggono le isole come scoglio di carne e mare,
come soffi di dolore,
docile caldo
senza qui pensare
a tagliare dall’osso
essere spina fine di pesce.
***
#9
Verde necessario
La tua pelle ha l’odore del pomodoro,
quando per l’ardire del sentiero, dopo
transitano verdi necessità, aspre, l’ossessione che spia
… di scoprire quanto sia fondo lo sguardo delle nostre cavità
la fabbrica vestita d’edera è un corpo morto
esala il primo grido dolore
spinato dal ricordo di rose e persone
non sentono più la vita, veste minimale azzurra,
organi respiratori artificiali, sistemi endocrini cannucce
… è siero nato da un ramo rotto,
osso disintegrato amianto respirato a pieni polmoni sniffato
ticchio di bambino che pianta chiodi nel cortile,
tubo d’acacia dove combattevano i bambini tagliati
passaggio sfiorato di felicità
giacca che ti giri e sembra averti sfiorato ma è passata, scomparsa
nel bosco della ragione, del sentimento,
corpo è vuoto e si riempie di latte comprato nello spaccio della disperazione,
in fondo al bosco della ragione, del sentimento,
dell’eco di chi vende disperazione
sfigurandola in verde necessità
entrare nelle cavità
respirare liquidità succhiarle con i denti dalla veste spruzzata
necessità di nutrirsi o disperazione.
***
#13
Bestie
Oggi partorirò delle bestie feroci (il corpo ha aiutato)
l’incedere del dolore
affianca
la strada bianca induce alle case degli altri,
orti curati, morti alle pareti,
carte da parati arrotolate ai lati
vede il suo animarsi disilluderti armarsi,
sapere che tutti han dei morti, dei padri, dei fratelli,
vede nei suoi occhi la fabbrica abbandonata
il farsi animale l’inghiotte come topi (la serpe)
tutte le case del nero fumo
ha odore d’ ortiche e rovi di scroscio d’ottobre,
piogge d’attesa di prima luce
e sangue asciutto vecchio
punto carminio ad angolo bocca,
graffio di rovi gonfio e lungo polvere d’ortiche nella gola,
soffocato trachea.
Armarsi
le vespe dalle tempie insistono
solo un velo
in attesa delle bestie.
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#3
il tuo sguardo d’uccelli
adagio, senza arrivare mai
tu sei il viaggio del mio cuore stanco
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#6
Viene a cena
ci sdraieremo come morte anime in attesa di un perché o di un quando?
le lampade vedranno il suo corpo giallo miele d’acacia colare alle pareti?
le strade bucheranno le tende con gli urli disperati del mare lontano?
le nostre vesti scelte apposta
gli odori scelti per mischiarsi,
porose d’umori d’altri spazi, come dell’altro,
trasfigurati?
Il miele trasparirà il mare?
O saremo solo qui, nel quando, nel perché, nel come?
***
#15
La via Roma
la vitalità nelle strade di città soffoca negli sguardi armati
penduli corpi dicono di no anche alle nudità dei bicchieri limpidi,
la pelle fino all’attaccatura dei capelli è intrisa d’immagini elettriche
i colli fanno quasi il giro a ritornare terra. La voce è luce, i corpi
nuove entità di cristalli liquidi, nelle vene senza pareti,
scorrevolezza come di pietre da ghiaia nelle giugulari,
nei rivi che fanno piede ai portici plasma orfano di sangue
accento stridulo, senza padre né madre, né mondo antico
si passa solo più per prenotazione, mi dicono
come nei corpi, negli aghi di luce nei timpani senza orecchio,
nelle coppie rinsecchite nei dehors estivi.
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#18
entri senza piedi nelle case degli altri,
l’argine tra i muri e i fiumi di vita oltre le solette si fa impervio.
Vedi letti con materassi senza corpo,
hanno perso i visceri come i cappelli molli appesi negli ingressi,
ci sono occhi di legno consumato, rondini d’acciaio elettriche che non volano più,
ma nelle voci riescono ancora a sorprendermi, in cellulosa flebili attendono
da un sempre mai passato, una vita per natura dimenticata.
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#11
L’essere a fianco s’apre con lo sguardo
la mia coda lo guarda ma non vede lo sguardo
vedo guardare la donna di fronte, bella e pettinata
l’essere che ho al fianco, forse un ragazzo o un uomo giovane.
Lo vedo nel profumo, secco di foglia o sughero,
lo vedo nello sguardo della donna ben pettinata
le mani venose, fiumi, morbide,
vedo che potrebbero avere dei figli o una casa fronte stazione,
il treno, poco a poco ricordo altre innumerevoli persone,
le vite di altri.
Illustrazione di Valentina Salvatico
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(A cura di Silvia Pio)