GABRIELLA MONGARDI
Tra i tanti anniversari “tondi” che cadono nel 2024 c’è anche quello di un romanzo: La montagna magica di Thomas Mann. Sono una di quelli che hanno letto due volte il romanzo (nella prima traduzione italiana del 1930, dovuta a Bice Giachetti-Sorteni), come consiglia l’autore: «A chi invece è arrivato in fondo […] consiglio di leggerlo una seconda volta, poiché la sua particolare fattura, il suo tipo di composizione fa sì che la seconda volta il piacere del lettore sarà maggiore e più profondo, proprio come accade con la musica, che si apprezza appieno solo quando la si conosce già».
Ne vorrei perciò tracciare una sorta di profilo, partendo dall’Introduzione che Mann stesso ne ha fatto nel 1939, alla vigilia della seconda guerra mondiale, in una conferenza da lui tenuta in inglese all’università di Princeton. «Il fatto che io debba esprimermi in inglese per una volta non aumenta le difficoltà – confessa Mann – anzi rappresenta una facilitazione», perché usare una lingua straniera attenua «le inibizioni che l’autore prova dovendo discorrere del proprio libro». È la stessa cosa che afferma il giovane protagonista del romanzo, Hans Castorp, quando fa la sua lunga, strana dichiarazione d’amore, in francese, a madame Chauchat: «Parler français c’est parler sans parler, en quelque manière»: il romanzo tedesco contiene infatti molte pagine in francese, scritte negli anni in cui tedeschi e francesi si facevano guerra: la prima guerra mondiale… E contiene anche – come nota Harold Bloom – la profezia di ciò che trionferà in Germania dieci anni dopo la sua pubblicazione: «Non la liberazione né lo sviluppo dell’io sono il segreto e il comandamento dell’ora. Essa ha bisogno, essa esige, essa saprà procurarsi… sapete che cosa? Il terrore».
Un romanzo tra due guerre, dunque, due “guerre civili” europee: concepito prima dello scoppio della prima, scritto durante gli anni di guerra, edito quando il “nazionalismo sociale” muoveva i suoi primi passi in Europa…
La trama: in un sanatorio di Davos, in Svizzera, arriva un giorno dalla pianura un giovane e ingenuo ingegnere amburghese, Hans Castorp, a far visita a un suo cugino che è lì malato – e non se ne andrà più… se non sette anni e mille pagine dopo. Il romanzo narra al rallentatore, con ironico distanziamento, la vita nel sanatorio, le interazioni personali tra un malato e l’altro e tra i malati e i medici e con questo espediente parla di tutto: di vita, di morte, di malattia, di medicina, di tempo, di musica, di follia, di amore, di scienza, di umanesimo, di arte, di sogni, di religione, di corpo, di spirito, di montagna, di neve… È un Bildungsroman alla rovescia, perché il protagonista non si prepara a vivere, ma a morire: arriva infatti a una “conoscenza della vita” che genera attrazione per l’abisso, desiderio di dissoluzione.
Ambientato nei primi anni del ’900, gli anni della Belle Epoque, diventa «il canto del cigno di quel modo di vita […], pensabile soltanto in una forma di economia capitalistica ancora intatta» e – aggiungo io – in un’epoca priva di terapie antitubercolari efficaci come gli antibiotici. L’autore nel 1939 lo definisce «uno Zeitroman in due sensi: anzitutto sul piano storico, in quanto cerca di delineare l’interiore immagine di un’epoca, quella dell’anteguerra europeo; in secondo luogo, però, perché suo argomento è il tempo puro, e questo oggetto è trattato non solo come esperienza del protagonista, ma anche in e per se stesso. Il libro stesso è ciò che esso narra: mentre infatti descrive l’ermetico incantamento del suo giovane eroe verso un mondo fuori del tempo, aspira a sua volta, con i suoi mezzi artistici, all’annullamento del tempo mediante il tentativo di conferire, in ogni istante, piena presenza al mondo ideale e musicale che esso abbraccia e di stabilire un magico nunc stans».
È un romanzo musicale in senso profondo, al di là delle dichiarazioni dello stesso Mann: «In quanto a me, devo annoverarmi tra gli scrittori-musicisti. Per me il romanzo è sempre stato una sinfonia, un lavoro di contrappunto, un tessuto di temi dove le idee fanno la parte dei motivi musicali».
La montagna magica non è un romanzo musicale soltanto perché utilizza la tecnica wagneriana del leitmotiv, «la magica formula che anticipa il futuro e richiama il passato», ma perché – come la musica – rende concretamente, fisicamente percepibile la durata del tempo in ogni suo istante, e lo dilata fino ad annullarlo. Questa è la sua magia.