ELISABETTA MERCURI
“Alto tra i cerchi calmi celesti della sua pipa e con poche parole, ma che dicevano bontà cortesia comprensione, proprio di chi conosce un altro mestiere, quello di soffrire, e vorrebbe, pur restìo, chiuso, prenderti a braccetto per cercare insieme, chi sa, forse un raggio di sole” così descrive il suo incontro con Cesare Pavese, dall’editore Einaudi, in un lontano giorno del 1946 a Roma, il poeta calabrese Franco Costabile di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita.
È il passo finale dell’articolo, Solitudine d’un narratore. Il diario di Pavese, che Costabile redasse subito dopo la pubblicazione de “Il mestiere di vivere” (Pavese, 1952).
Come non pensare che in quel “raggio di sole” Costabile volesse scorgere il barlume di luce che anch’egli cercava nella sua vita tormentata, nella sua condizione di amara solitudine, e che, in quel “prendersi a braccetto”, inconsapevolmente unisse due tragici destini. A tredici anni di distanza dal drammatico gesto di Pavese, Costabile (14 aprile 1965), a 41 anni, decideva di porre fine alla sua stessa esistenza…
Il racconto dell’incontro di Costabile con Pavese è un dettaglio biografico finora sconosciuto, riportato in uno dei testi (“Le notti ritrovate”) curati dallo studioso Pasqualino Bongiovanni, recentemente pubblicati da Lebeg.
Bongiovanni è nato nello stesso paese di Costabile, Sambiase (oggi circoscrizione del Comune di Lamezia Terme), nello stesso antico rione. Autore della raccolta di liriche “A sud delle cose” sembra sancire l’incontro di due poetiche il cui respiro è espressione di una realtà che travalica l’aspro e difficile contesto calabrese divenendo immagine della condizione umana del sud del mondo. Un sud infinito quello di Bongiovanni, il sud della sua Calabria ( come punto di vista da cui partire)nel secondo dopoguerra, quello di Costabile.
Bongiovanni ha curato la pubblicazione della versione originale di “Via degli Ulivi” (edizioni Lebeg), la prima raccolta poetica data alle stampe da Costabile nel 1950 a Siena per i Quaderni d’Ausonia. Nel testo, oltre alle note sulle difformità della raccolta con le edizioni postume, importanti recensioni, riproposte in modo integrale, sulla poetica del Costabile, con la segnalazione di alcune poesie. In appendice, la copia anastatica dell’edizione originale della raccolta.
Lo studioso ha ancora curato, sempre per i tipi di Lebeg, altri due volumi: “Le notti ritrovate” e “L’anticamera della pazzia”. Nel primo, un componimento narrativo ed altri scritti inediti, oltre alla recensione sopra citata al libro di Pavese. Nel secondo volume, “L’anticamera della pazzia”, undici articoli del poeta apparsi nel 1962 sul quotidiano “il Paese”. Articoli, mai menzionati, che indagano la sua attività giornalistica e, infine, il tragico resoconto di una sua visita ad una clinica neuropsichiatrica.
Questi testi erano apparsi, tra il 1950 e il 1954, sul settimanale “Voce del Popolo”, organo di stampa del “Premio Taranto”, importante manifestazione nel panorama della cultura italiana dell’immediato dopoguerra. A dimostrazione, come scrive Bongiovanni nelle note, dell’alta considerazione di cui godevano la figura e l’opera di Costabile nella vita culturale e artistica degli anni ’50.
Nei volumi editi da Lebeg vengono rivelati i rapporti di amicizia del Costabile con scrittori e poeti del tempo, come Elio Vittorini al quale aveva confidato, in una lettera, di un componimento narrativo sui briganti calabresi, (pagine mai rintracciate); come Giuseppe Ungaretti di cui fu allievo all’Università “La Sapienza” di Roma fino a riuscire, in seguito, a far parte della sua cerchia letteraria.
Ma furono tanti gli amici e gli estimatori di Costabile di cui testimoniano lettere e recensioni: Giorgio Caproni, Giuseppe Berto, Corrado Alvaro, Pier Paolo Pasolini.
A cento anni dalla nascita del poeta calabrese nuovi e importanti tasselli per un’approfondita ricostruzione biografica e artistica. Gli studi sulla sua figura, le innumerevoli iniziative in occasione di questa ricorrenza, restituiscono la luce ad un poeta trascurato, e come destinato all’oblio, subito dopo la sua tragica scomparsa.
In verità, nel suo luogo natìo, già da diversi anni, studiosi ed associazioni si spendono per non sommergerne la memoria, per sottrarlo dallo stuolo dei poeti dimenticati, abbandonati dalla critica.
Ricerche scientifiche, convegni, libri, ma anche l’intitolazione di un antico piccolo teatro, la realizzazione di un monumento, i suoi versi incisi su mattonelle di terracotta lungo le strade che portano alla casa in cui nacque.
La poesia di Costabile racconta della sua terra e della sua gente nel secondo dopoguerra. Ne denuncia i soprusi patiti, soprattutto lo sfruttamento dei contadini, le promesse mai mantenute dai governanti, l’emigrazione per costruirsi un futuro ed il conseguente spopolamento dei territori, la “mancanza di intraprendenza culturale ed economica”.
Temi della società calabrese di quell’epoca che racchiude in due libri, “La via degli ulivi “(1950) e “La rosa nel bicchiere” (1961).
Temi che investivano l’intero sud Italia, ma soprattutto le aree legate al mondo agricolo (come la sua Sambiase).
Splende/ la piazza/ già tranquilla/ di cielo/ e di botteghe, / ma quei ragazzi/ andati al Venezuela/ hanno scritto la loro ombra/ lungo i muri.
Versi brevissimi, un linguaggio essenziale, parole tradotte in immagini, per una poesia amara e tagliente.
Ho atteso le foglie gialle/ come un’ansia d’amore. / Io non so come sono le rose.
La sua opera viene così spesso accostata all’ermetismo e, per la sensibilità verso le vicende umane e sociali, al neorealismo.
Ma Costabile è un poeta libero, non etichettabile. Le sofferenze della sua gente sono sentite come proprie fino ad esserne ossessionato. Le sue metafore rispondono ad un’urgenza di scrivere, di fermare in versi quello che gli dettavano l’anima e la condizione di smarrimento e solitudine accresciuta dalle sue vicissitudini personali.
Tu non puoi/ intendere le notti/del marciapiede,/ la mia vita alla luce/ delle insegne luminose:/ erro, con passo/ da soldato sconfitto.
La sua vita rimarrà per sempre segnata dagli abbandoni, quello del padre che lascia la famiglia prima ancora che lui nascesse per andare a lavorare in Tunisia, quello della moglie che si trasferisce a Milano con le due figlie, infine quello della madre che si spegne dopo una lunga malattia. Abbandoni e distacchi come quello, d’altronde, della sua scelta di rimanere a Roma, dove nel ’46 si era laureato in lettere e nel ’59 vinceva una cattedra, anche se la Calabria rimarrà sempre nel suo cuore in un contraddittorio sentimento di amore, di sradicamento, di nostalgia e di rifiuto.
Negli anonimi spazi di città/ non ho più nulla degli spazi perduti./ Ed a quest’ora/ nella vecchia casa/ un topo di soffitta/ si nutre del cartone / d’un cavallo a dondolo.
Un cantore della sua terra, versi dolenti che assurgono a dolore universale. “Il suo dolore non conosce i toni cupi della disperazione, ma ricopre il vero reale e il vero poetico con un’ombra di tristezza cui l’umanità è disposta, più che in qualsiasi altro sentimento, a riconoscere se stessa, sicché la produzione del Costabile giunge ed attinge a quell’universalità che è l’indice primo di vera poesia” (da “Le notti ritrovate”, recensione di Raffaello Brignetti alla raccolta “Via degli ulivi”).
Versi intrisi di sofferenza, di inquietudine esistenziale ma anche di emozioni e di incanto laddove prevalgono i ricordi e i paesaggi.
Per altri sentieri/ torneremo alla piana/celeste di ulivi./ Saremo/ dove si leva/ l’infanzia dei profumi; /dove l’acqua/ non si fa nera / ma vacilla di luna; /dove i passi /avranno memorie di solchi/ e le dita di melograni./…Sono questi gli orti,/ i confini per ricordarci.
La sua Calabria non vuole dimenticarlo, perché della sua poetica riconosce l’humus identitario, la sua storia fatta di ingiustizie, di esodi, di rabbia e spesso rassegnazione, rispecchiandosi soprattutto in quei versi de “La rosa nel bicchiere” che dipingono la sua immagine simboleggiandone le ferite, i profumi, la bellezza, la speranza…
(A cura di Silvia Pio)
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