Athenae sub specie Atlantidis

Atlantis da Kircher Mundus subterraneus 1678

Atlantis da Kircher Mundus subterraneus 1678

PAOLO LAMBERTI

Quando Leopardi scrive Amore e morte crea un mito, inteso come una forma di conoscenza sintetica che non si avvale della dimensione analitica della ragione; il concetto è certo influenzato da Platone, che Leopardi conosceva molto bene, al punto di diventare antiplatonico.
La cultura occidentale è ancor oggi profondamente innervata dai miti platonici, siano essi quello della caverna, quello di Er, il mito dell’androgino e appunto Atlantide. Quest’ultimo però si distacca dagli altri per la diversa ricezione. Infatti non si vedono spedizioni archeologiche volte a trovare la tomba di Er, né gli speleologi sono alla ricerca della caverna; mentre il mito dell’androgino si è ridotto ad appendice di San Valentino, anche se servirebbe a contrastare l’ossessione del gender, sviluppata a partire dalle aride ed insanguinate sabbie mediorientali, patria dei monoteismi.
Invece la sorte del mito di Atlantide lo ha apparentato ad altri miti, come quello del Graal: destinatari entrambi di una millenaria queste alla maniera dei poemi cavallereschi, ma con protagonisti reali molto meno eroici. Sarebbe un viaggio tanto lungo quanto sconclusionato ripercorre le teorie su Atlantide: ci sono quelle che si aggrappano alla razionalità, come il legame con la grande eruzione di Thera/Santorini, che offre agli studiosi anche un buon pretesto per vacanze marine. Poi ci sono quelli che si lasciano incantare dal nesso etimologico Atlantico/Atlantide, entrambi derivati da Atlante, mitico anch’esso: così tocca ignorare la catena montuosa dell’Atlante, ben poco simile alla descrizione platonica, per cercare zone poco profonde dell’oceano, cosa che costringe o a farsi largo tra i pescherecci del Dogger Bank o spingersi con le anguille sino ai Sargassi, ignorando la profondissima Dorsale Atlantica con i suoi picchi e le sue zone di espansione lavica. Viste le continue scoperte di esopianeti, il futuro di Atlantide sarà probabilmente in altri sistemi stellari.
Però Platone il mito lo crea per il suo pubblico, che è quello del mondo greco dell’inizio del IV secolo, e soprattutto si rivolge agli ateniesi. Atlantide compare nel Timeo, ma viene approfondita nel dialogo incompiuto intitolato a Crizia. Uomo politico, tragediografo e polemista, se il Vecchio Oligarca autore della Costituzione degli Ateniesi pseudosenofontea è lui, come pensa Canfora, Crizia è una delle figure più radicali di quel mondo aristocratico e ferocemente antidemocratico che accompagna con la violenza l’ascesa del demos in Atene: non a caso diventa il leader del colpo di stato oligarchico che conosciamo come i Trenta tiranni. Crizia è anche il prozio materno, fratello del nonno materno, di Aristocle, il nome di battesimo profondamente aristocratico (“Gloria dell’ottimo”) di Platone, che per tutta la vita rimarrà un nemico di ogni forma di democrazia: in fondo la Repubblica è il tentativo di creare un’oligarchia di filosofi, concettualmente identica alle altre oligarchie, siano di spada, di toga o di denaro; non a caso da giovane imparentato con molti dei Trenta Tiranni si muterà in un aspirante educatore dei tiranni siracusani.
Per creare un mito è necessario contemperare l’esotico ed il familiare: così l’esperienza della caverna è quella che si può avere dinanzi a qualsiasi focolare, ma viene drammatizzata dalle catene e dall’ambientazione, mentre l’idea di esseri che mutano, come l’androgino, oltre ad essere presente nel Timeo, sembra rivelare un collegamento con gli esseri in mutazione di Empedocle, che immagina una fase in cui organi e sostanze non fossero ancora organizzati, salvo poi auto-organizzarsi con modalità che oggi si direbbero di omeostasi e retroazione. Anche il mito di Er ricostruisce le idee greche sull’Aldilà scegliendo come protagonista un greco, ma periferico, della Panfilia.
Di conseguenza il mito di Atlantide deve essere ambientato in un tempo ed in uno spazio insieme lontani e familiari: i 9000 anni devono superare l’antichità dell’Egitto, come definita da Erodoto, e si deve uscire da un Mediterraneo ben noto ai Greci per affacciarsi su un Oceano conosciuto ma quasi del tutto non esplorato; è poi necessario amplificare gli Atlantidi, sia politicamente che geograficamente, prendendo spunto da Ecateo ed Erodoto che avevano citato gli Atlanti, popolo di quella Libia usata da Platone come metro di misura della vastità di Atlantide.
Così il continente è diviso in 60.000 distretti, amplificazione dei demi attici, i 10 re ricordano la fase monarchica di Atene, i tre cerchi concentrici di mare sono circolari per la perfezione del cerchio, ma richiamano i porti di Siracusa, tristemente noti agli Ateniesi, e sono tre come i tre porti di Atene (Falero, Munichia, Pireo), mentre l’urbanistica rivela l’influenza di Ippodamo di Mileto.
Quello che interessa Platone è riflettere su uno stato utopico ed aristocratico, diviso in rigide gerarchie, però per farlo ha bisogno di liberarsi della storia politica di Atene. Di qui la lunga sezione iniziale del Crizia che disegna un’Atene mitica del passato, tanto più ampia e potente quanto più virtuosa, capace di sconfiggere gli Atlantidi. Ad essi tocca il ruolo di controfigure dello sviluppo democratico ateniese: in origine la loro società ordinata e ricca rimanda all’Atene delle grandi famiglie, alla generazione delle guerre persiane, e soprattutto di Maratona, la vittoria esclusiva degli opliti; è la stessa nostalgia che si ritrova nell’Eschilo delle Rane aristofanee. Poi l’espansione atlantide arriva ad Egitto e “Tirrenia”, ovvero il Mediterraneo Occidentale: esattamente dove si infrange l’espansione ateniese, con i duplici disastri delle spedizioni in Egitto (456-454) e a Siracusa (415-413). E dietro l’hybris degli Atlantidi si vede la feroce critica all’impero ateniese e alla degenerazione della lega delio-attica; Platone condivide con Tucidide il nesso tra democrazia ed imperialismo. Nesso ripreso poi da Machiavelli dei Discorsi, che indica come una repubblica che vuole espandersi debba essere “popolare”, fondarsi sul popolo e non sui grandi, mentre l’allargarsi è “veleno” per una repubblica oligarchica: esattamente quello che succede agli Atlantidi, e quello che pensano Sparta e i suoi ammiratori, Platone e Senofonte in primis. Infine la catastrofe che distrugge Atlantide, in realtà non narrata per esteso per lo stato di incompiutezza del dialogo, prevede una serie di crolli che ricordano la distruzione delle Lunghe Mura, “al suono dei flauti spartani”: sicuramente dolci per Crizia e per Platone.