San Giuseppe e la festa del Papà

Santa Maria degli Scalzi (Venice) - Cappella Manin - La Vergine col Bambino e San Giuseppe tra le nuvole di Giuseppe Torretto

Santa Maria degli Scalzi (Venice) – Cappella Manin – La Vergine col Bambino e San Giuseppe tra le nuvole di Giuseppe Torretto

PAOLO LAMBERTI

La Chiesa ha fissato il giorno di San Giuseppe al 19 marzo, e, in accordo con il consumismo, ha dedicato il giorno alla Festa del Papà: scelta lievemente inquietante per i padri, visto che ufficialmente Giuseppe è solo un padre putativo, caratteristica che richiama alla mente il celebre detto latino, “mater semper certa, sed pater…”.

A confortare l’inquietudine dei padri e l’onore delle madri sono però Luca e Matteo, gli unici due evangelisti che parlano della nascita di Gesù. Infatti si premurano di iniziare i loro vangeli dotando il neonato di una robusta genealogia davidica, che a scanso di equivoci fanno risalire sino ad Adamo; è vero che Matteo elenca 47 generazioni e Luca 72, che per altro non coincidono se non raramente, però entrambi affermano con chiarezza che Gesù discende da David attraverso la paternità di Giuseppe, che evidentemente non era un povero falegname alla Geppetto, visto che i vangeli lo definiscono “tektōn”, che oggi si può tradurre con imprenditore nelle costruzioni. Per tutelare lo Spirito Santo, Luca (chiunque sia il redattore del Vangelo) aggiunge a “padre” un “come si pensava” (ōs enomizeto, un inciso con una certa aria di aggiunta, magari da parte di qualche scriba successivo, ma che ha dato origine al termine “putativo” della tradizione), Matteo una frase abbastanza contorta, diversa in manoscritti molto antichi. Il testo accettato è “Giuseppe, marito di Maria, da cui fu generato Gesù, chiamato Cristo”, ma in più manoscritti a Maria è aggiunta una formula che si può rendere come “promessa in sposa”; nell’apparato critico del Nestle (minor) compare anche una curiosa aggiunta tratta dal Dialogo di Timoteo e Aquila, prima mano, risalente al V secolo: kai (e) Iōsēph eghennēse (generò), creando il faticoso testo “Giuseppe, marito di Maria, dalla quale fu generato, e Giuseppe generò, Gesù, chiamato Cristo”; non certo una variante da accettare nel testo, ma segno di un certo disagio sul ruolo di Giuseppe anche in secoli lontani e poco increduli come il nostro.

Un’opinione, quella della discendenza davidica, peraltro diffusa, come testimonia Luca, e confermata anche dalle fonti non cristiane, visto che Eusebio di Cesarea, citando Egesippo, scrittore cristiano del II secolo (e santo per la chiesa cattolica), oggi perduto, ricorda come Diocleziano avesse fatto arrestare a fine I secolo alcuni parenti di Gesù, non in quanto cristiani ma perché, avendo fama di essere discendenti di Davide, potevano diventare pretesto per una nuova rivolta ebraica; peraltro poi li libera, avendoli trovati innocui: non era poi un imperatore così cattivo.

A rassicurare sul ruolo paterno e maritale di Giuseppe è poi ancora Luca (2,7): “ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito”; “prototokon” in greco, primogenito appunto in latino, termine che ovviamente si applica non a un figlio unico, ma al primo di una serie di figli, e stona un po’ con il tradizionale appellativo di Unigenitus riservato a Cristo.

Ancora più esplicito sulla paternità di Giuseppe Matteo 1,25, in cui si assiste ad un curioso alternarsi di traduzioni. Infatti quella della CEI scrive “la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù”, mentre la traduzione protestante riveduta del Diodati già scriveva “ma egli non la conobbe, finché ella ebbe partorito il suo figlio primogenito, al quale pose nome Gesù”. E l’edizione cattolica riveduta del 2020, magari grazie a qualche ripetizione di greco, traduce più correttamente “e non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio, al quale pose nome Gesù.” Infatti il testo greco dice “kai (e) ouk (non) eginōsken (conosceva) autēn (lei) heōs (finchè) ou (non) eteken (generò) uion (figlio)” e la Nova Vulgata traduce correttamente con “et non cognoscebat eam, donec peperit filium”.

Come conferma per i due evangelisti ed ulteriore rassicurazione per i padri, i vangeli testimoniano quattro fratelli di Gesù, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda (solo gli apocrifi attribuiscono questi figli ad un precedente matrimonio del padre: di qui l’iconografia di Giuseppe rappresentato vecchio) e alcune sorelle, di cui non si conoscono numero e nomi: nelle religioni monoteiste le donne contano sempre poco; né è mancato chi ha notato la coincidenza dei nomi dei fratelli con quelli degli apostoli, pur essendo l’onomastica ebraica dell’epoca piuttosto monotona; in ogni caso, come dicono con chiarezza gli Atti, il successore di Gesù è il fratello Giacomo, solo affiancato da Pietro e Giovanni.

Quindi i padri possono festeggiare meglio dei teologi che devono districarsi tra i dogmi trinitari e quelli mariani: diventa difficile sostenere l’epiteto di Maria Vergine, anche solo come traduzione del termine ebraico almah, tradotto dai Settanta con parthenos, in entrambi i casi ad indicare una fanciulla non ancora sposata (e non necessariamente vergine nel senso moderno); epiteto comunque poco adatto ad una donna di mezza età con 7-8 figli. Se poi madre e fratelli compaiono più volte nei vangeli, Giuseppe scompare del tutto dopo la fuga di Gesù al tempio, monito della più breve vita dei maschi. Buona Festa del Papà.