Cuneo: “Canaletto, Van Wittel, Bellotto. Il gran teatro delle città”

canaletto-van-wittel-bellottoFULVIA GIACOSA

“CANALETTO, VAN WITTEL, BELLOTTO. IL GRAN TEATRO DELLE CITTA’ “. Questo il titolo della mostra in San Francesco realizzata grazie a Fondazione CRC e Intesa Sanpaolo, già promotori di due esposizioni precedenti su Tiziano, Tintoretto e Veronese (2022) e su Lotto e Tibaldi (2023). Vi sono esposti 12 capolavori del Vedutismo settecentesco con opere di Canaletto, Van Wittel e Bellotto, oltre al piacentino Giovanni Paolo Pannini. I quadri provengono dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma e sono inseriti in una installazione didatticamente efficace curata da Paola Nicita e Yuri Primarosa: grandi specchi riflettono gigantografie che riproducono  particolari delle opere, pannelli esplicativi informano sugli artisti, un video infine mostra, ingrandite, incisioni settecentesche su Roma e Venezia, mete del Grand Tour, cui si aggiunge la Dresda di Bellotto. Il tutto spiega con chiarezza aspetti storici, stilistici e tecnici come l’uso della camera ottica. Il vedutismo nasce nell’età dei Lumi a Napoli con Van Wittel (1653-1736), pittore olandese che operò nella città partenopea tra il 1699 e il 1702 e poi a Roma, colta nelle sue vestigia (piazze, edifici e le sponde del Tevere) e nei suoi dintorni paesaggistici (se ne ricorderà nel volgere di un secolo Corot). Fu lui a diffondere l’uso della scatola ottica come ausilio prospettico per i vedutisti nordici. La cultura illuministica spinge gli artisti alla resa del reale secondo criteri controllati dalla ragione (percepire distintamente è il motto dei vedutisti) tramite una tecnica precisa che si avvale appunto della camera ottica, fissa o mobile: la prima, meno agevole, è una vera e propria “stanza” a portantina o a tendine, la seconda, prediletta da Canaletto, è una scatola facilmente trasportabile dotata di una lente che proietta il paesaggio su uno specchio posto all’interno da cui si ricavano linee prospettiche esatte al vero. Attenzione però a paragonarla allo strumento meccanico della fotografia. Qui si tratta pur sempre di pittura che, appoggiandosi ad uno strumento, aiuta a vedere con precisione canali, piazze, edifici, figurine umane, cieli luminosi. È una “veduta” aderente al vero ma è anche scenografia urbana, festa per lo sguardo: in tal senso mi sembra pertinente il titolo scelto dai curatori della mostra per un’arte che dai trascorsi barocchi eredita una spazialità teatrale immaginifica per ridurla, nel senso latino di re-ducere, a verità razionale. Non va dimenticato infatti che sia Van Wittel sia Canaletto nascono come scenografi e di prospettiva s’intendono assai senza bisogno di ingegnosi macchinari; la camera ottica è un di più che aiuta a superare l’illusionismo sfrenato del Seicento. Nel Vedutismo convivono sicuramente due anime, quella esatta, chiara e distinta (cartesiana, si direbbe) di Canaletto e quella evocativa, carica di emotività di Francesco Guardi (1712-’93), figlio e fratello di pittori con bottega in Venezia, città che non abbandonerà mai. L’artista – correttamente – non è presente in questa mostra nonostante sia anche autore di vedute quasi esatte e dall’orizzonte vastissimo intorno al 1750. Guardi è noto per i “capricci”, scorci pittoreschi e insieme malinconici di una Venezia minore, su cui interviene con l’immaginazione: un grande arco spezzato che riprende la pittura di rovine del Ricci, un muro ammuffito, un vecchia casa (la sua, modestissima, era a Cannareggio), insomma una Venezia di sottofondo dietro i suoi sfarzi che abbiamo letto in Thomas Mann e visto in Luchino Visconti: silenziosa, fragile e – perciò – seducente poetica musicale (su quest’ultimo aggettivo dirà la sua nel XX sec. Kandinskij [1] che suonava piano e violino e diceva che la pittura deve “suonare”). Quella di Guardi è una Venezia ricordata, vissuta più che vista e soggettivata da un artista sensibile e modernissimo anche nello stile, fatto di forme sfrangiate, da una luce madreperlacea, da misteriose penombre alternate a tocchi coloristici preziosi, tiepoleschi (Tiepolo peraltro era suo cognato). Il primato della veduta “esatta” spetta a Canaletto (1697-1768). Figlio di uno scenografo esordisce come tale e con vedute di fantasia; nel 1719 è a Roma ed esegue vedute dal naturale mentre le prime vedute veneziane risalgono al 1722-23. La tecnica si fa controllatissima: linee nitide nella loro prospettiva, piccoli tocchi di luce appena accennati a rendere vive le macchiette che punteggiano gli ampi spazi (figure, animali), spazi dunque abitati, pieni di vita e movimento, non certo raggelati da rese esclusivamente topografiche.  L’arte si fa scienza visiva capace di andare incontro allo spettatore per fargli vivere un’esperienza inclusiva, concreta; scrive Cesare Brandi che ““la prospettiva del Canaletto non costruisce un’immagine che s’allontana, ma un’immagine che si avvicina”. Di Roma dipinge i luoghi simbolo del suo passato; anche di Venezia sceglie i monumenti più noti, le feste, cerimonie, regate che i ricchi viaggiatori europei soprattutto inglesi si portano a casa comprando le sue tele come ricordo del tour. Bernardo Bellotto (1720-80), pittore e incisore nato a Venezia è figlio della sorella di Canaletto del quale è stato allievo fin dai 14 anni preparando schizzi e disegni per lo zio. Intorno al 1740 realizza una serie di vedute e capricci architettonici ad acquaforte, con rovine sul fondo e palazzi immersi in un’atmosfera pensosa. Dopo un viaggio a Roma nel 1742 testimoniata da una serie di incisioni, tornerà solo saltuariamente a Venezia. Dal 1745 la sua pittura si fa pienamente autonoma, originale, riconoscibilissima. La sua fortuna inizia presso la corte sabauda in quell’anno, prosegue l’anno dopo presso Augusto III re di Polonia, che lo nomina pittore di corte. L’artista si trasferisce così a Dresda, città che ritrae in diversi splendidi dipinti, certo i più noti al grande pubblico. Altre città in cui lascia le proprie opere sono Varsavia (qui, per la guerra dei sette anni, si era trasferita la corte polacca) e Vienna, dal 1759 al ’61, con una serie di vedute della città e dei suoi dintorni e una nuova narrazione sulla vita quotidiana. Nell’insieme si tratta di “ritratti” di città delle quali mette in evidenza il “carattere”. Tale originale interpretazione del vedutismo è molto apprezzata nell’Europa centro-orientale. Il segno nitido di tipo nordico e una luce materica che si solidifica sugli edifici generano ombre altrettanto nette e pulite; i toni, anch’essi nordici, sono freddi e le gamme coloristiche principali vanno dall’azzurro polveroso a varie gradazioni di verde e marrone; tutto acquista una concretezza che ferma l’immagine, quasi fotografica, che sembra anticipare i pittori di Barbison (anni trenta/sessanta dell’Ottocento). Infine, poche righe per il piacentino Giovanni Paolo Pannini (1691-1765), anche lui scenografo teatrale a inizio carriera, per poi lavorare a Roma dal 1711, con una produzione pittorica incisoria scultorea e decorativa, e ottenere incarichi prestigiosi sia all’Accademia di San Luca sia all’Académie de France dove ha come allievo Fragonard, pittore rococò noto per quadri storici, paesaggistici (soprattutto giardini e statue) e di genere,  oltre che per dipinti leziosi e sottilmente erotici (“L’altalena“). Nel periodo romano Pannini ritrae i più noti monumenti romani (come il Pantheon) e immaginarie sale-museo piene all’inverosimile di opere d’ogni genere che sono un capriccio architettonico: si parte dalla realtà per sovrapporle una visione di fantasia. In mostra sono presenti due suoi dipinti, uno dei quali, “Capriccio con la statua equestre di Marco Aurelio” (1745) tra rovine d’invenzione e la potente statua estrapolata dal suo vero contesto urbanistico, riflette il gusto inventivo del pittore. INFO. La mostra, ad ingresso gratuito, è aperta nel Complesso Monumentale di San Francesco, via Santa Maria 10 (non lontano dal Municipio), fino al 30 marzo 2025 nei seguenti orari: dal martedì al venerdì ore 15,30-19,30; sabato e domenica orario continuato 10-19,30. Il venerdì inoltre sono previste visite guidate e conferenze gratuite per il pubblico. Per info e prenotazioni: mostracanaletto@gmail.com


 [1]Cito dal suo Dello spirituale nell’arte:  “Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è il pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, mette l’anima umana in vibrazione”.