Relazione degli archeologi - Spedizione del Dipartimento Archeologico di Marte - anno 4753 della IV Era Gwartamia.
Gli scavi del bacino desertico della Mediaterra hanno rivelato numerosi elementi che pongono molti interrogativi ai quali abbiamo tentato di dare delle risposte. Le nostre conclusioni ribaltano completamente le teorie che in campo archeologico erano finora ritenute valide. Ad una profondità di circa centodiciotto unità spazio, sotto la sabbia è stato rilevato un fondo roccioso. Tra la sabbia e la roccia sono stati rinvenuti numerosi oggetti di piccola, media e grande fattura. La maggioranza dei relitti sembrano essere macchine scivolanti su fondo fluido. Un certo numero di esse è di grande tonnellaggio, costruite in metallo e all’apparenza sembrano equipaggiate da attrezzature atte alla guerra, prevalentemente rudimentali armi da fuoco che, probabilmente, avevano una consistente potenza offensiva. Qualche endoscheletro umano, tra i resti a brandelli di vestimenti che supponiamo militari, con cinture alle quali sono agganciati piccoli dispositivi esplosivi, armi da fuoco portatili che confermano le supposizioni del professor Ayamanta Klutygh dell’Università di Nuova Sparta nello Stato marziano di Armstronia. Le attrezzature di grandi dimensioni sono però affatto differenti da quanto finora ipotizzato, essendo agganciate alle strutture su perni rotanti, che probabilmente permettevano una agevole rotazione di 280° per una copertura ad ampio raggio dei bersagli da colpire.
Molto più numerose le macchine scivolanti di piccole dimensioni, sparse ovunque, rudimentali, di legno o gomma vulcanizzata in uso alcuni millenni fa; abbiamo inviato campioni di materiali ai laboratori per una più precisa datazione. Queste piccole strutture sono per lo più vuote, spezzate in due o più parti. Qualche endoscheletro umano, però, è ancora incastrato tra i rottami. A livello del fondo roccioso, abbiamo ritrovato numerosi endoscheletri umani di varie dimensioni, parecchi sono molto piccoli, poco sviluppati, spesso aggrappati a endoscheletri più grandi, probabilmente le creature più piccole cercavano protezione.
Innumerevoli sono anche degli endoscheletri piccolissimi o enormi, non umani, supponiamo di animali ormai sconosciuti, i quali spesso sono ritratti sulle sponde lignee di alcune piccole strutture.
Considerando la zona da noi esplorata, di circa un chilometro quadrato, e facendo una proiezione su tutto il bacino desertico della Mediaterra, abbiamo un numero elevatissimo di endoscheletri umani che supponiamo ricoprano tutto il fondale roccioso. Il calcolo, con una approssimazione per difetto, risulta dare: 1.347.937 unità. Calcolando il numero di quelli ritrovati nell’area esplorata, con lo stesso calcolo di proiezione, di questi, il 39% sono endoscheletri umani piccoli. Dal calcolo stimato con una percentuale d’errore dello 0,3%, risulterebbero essere 525.695,43. Colpisce il numero elevatissimo di endoscheletri umani sul fondo, in contrasto con quello degli endoscheletri militari ritrovati sulle grandi strutture di fattura bellica. Evidentemente gli umani sul fondo erano disarmati e inermi, quindi per colpirli bastava un numero relativamente basso di umani militari. Le ragioni di questa spietata caccia, restano a noi ancora ignote.
La curva di intensità numerica degli endoscheletri vittime cresce da sud a nord. Anche in questo caso non conosciamo ancora le ragioni di questo incremento.
Al momento sono allo studio dei nostri linguisti archeologi, numerosi oggetti ricoperti da segni di antiche scritture e tavolette tecnologiche primordiali che stiamo cercando di riattivare per interpretarne il contenuto. Finora pochi indizi che possano spiegare questo strano genocidio. Dalle suddette scritture risulterebbe che il bacino desertico della Mediaterra era, in tempi lontanissimi, un bacino chiamato Mare Mediterraneo. La parola “Mare” è a noi sconosciuta; speriamo di trovarne qualche spiegazione nella decifrazione dei testi ritrovati. Forse questa parola nasconde la ragione o una delle ragioni che ha causato la morte delle vittime. La nostra geobiologa Amfrinaw Yualliqrtak ha ipotizzato che si possa trattare di un fluido sul quale scivolavano le macchine ritrovate. Siamo ancora nella prima fase degli scavi e dell’interpretazione di quanto ritrovato. Le nostre deduzioni, al momento, sono le seguenti: per motivi che non riusciamo a immaginare, una piccola parte di umani armati ha sterminato un numero più che considerevole di umani che, supponiamo, si spostavano da sud a nord. Molti di loro erano piccoli, cuccioli umani di svariati stadi d’età. Colpisce e sconcerta la sproporzione dei rapporti di forza tra i due gruppi. È evidente che un piccolo numero di armati abbia avuto la meglio contro una massa inerme.
Il professor Gaywo Markintow, antichista emerito di grande erudizione, ha ipotizzato che potremmo essere di fronte ai resti di un genocidio narrato in alcuni antichi testi conservati nella Biblioteca Arcaica del Qwiscong nello stato marziano di Fruityax, da lui tradotti e interpretati. Questo genocidio umano è in questi testi chiamato La strage degli innocenti. È per noi inesplicabile la ragione per la quale si debbano sterminare degli innocenti. Il genere umano, ormai estinto, ci pone questioni e interrogativi enigmatici e oscuri. Sarà materia di molti anni di scavi e interpretazioni per noi studiosi. Null’altro al momento ci è dato sapere e comprendere. Ma tutti noi partecipanti alla spedizione avvertiamo un brivido e un’emozione molto intensi nello svolgere questo lavoro. Molti di noi prefigurano che quando capiremo il perché di ciò che abbiamo scoperto, resteremo sconcertati ma anche delusi dal leggendario periodo storico in cui il genere umano abitava il pianeta Aerthus, chiamato Terra dagli umani. Siamo certi però che qualsiasi spiegazione troveremo questa sarà un monito per noi marziani, una lezione che ci preservi dalla sopraffazione e dalla violenza che quanto abbiamo scoperto ci suggerisce.
Ci riserviamo di inviare relazioni successive a questa nostra, non appena avremo delle interpretazioni scientificamente e storicamente plausibili.
[Seguono le firme dei relatori...]
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Ironia, tensione, partecipazione all’avventura umana, anticipazione del futuro. Anche nei suoi aspetti più feroci o più inverosimili: “Ogni vita nasconde una catabasi, immaginata, sognata, temuta, desiderata, è forse un impulso segreto che può essere un’epifania, un richiamo sia alla maturità da raggiungere che al fremito irrequieto della volontà di compiere la propria impresa esistenziale.”
Racconti di solitudine estrema e, coraggiosamente, anche nell’abisso dell’Alzheimer: forse questo dissolversi nella realtà che conosciamo è uno sfumare verso un’altra, altrettanto reale, seppure sconosciuta.
Racconti anticipatori, come 2063, e per questo terribili. Racconti ironici come Prima i lombrichi.
Racconti di una predisposizione all’amore: “Vedo soltanto un mare d’argento, nitido e freddo. La barca del mio corpo vuoto scivola e va verso il suo orizzonte del nulla”. E poi la vecchiaia. E altro. Il tutto narrato con un linguaggio semplice e alto insieme, di una precisione scientifica, in grado di penetrare, coinvolgere e sconvolgere.
(Giovanna Passigato)
Se mai dovesse capitargli tra le mani questo libro di Randazzo, Elon Musk si agiterebbe nervoso sulla sedia a leggere il primo di questi racconti, succosi come arance mature, nel dover riconoscere agli abitanti di Marte, meta agognata dall’uomo più scioccamente ricco del mondo, una saggezza che poco ha a che vedere con le folli fantasie interplanetarie del magnate. E già questo, di far sobbalzare dalla sedia il suddetto, sarebbe un grande merito della raccolta. Ma naturalmente ne ha molti altri (racconti e meriti, intendiamo): quello di rappresentare con pudore e finezza di scrittura lo smarrimento e lo spaesamento della mente o l’invenzione del Vitalismo Roccioso, ad esempio, da consigliare agli strenui difensori del veganesimo più rigido. Il passo di questi racconti è quello leggero di un bambino che trascorre sopra i numeri nel gioco del quadrato magico: un salto, e si arriva al 2063, un altro e si finisce dentro una mente dilaniata dalla dimenticanza e tuttavia felice, un altro ancora e ci si ritrova in una specie di terra calviniana abitata da lombrichi pensanti. Questa raccolta sta in una terra di nessuno tra un fronte fantascientifico e l’altro attraversato da trincee borgesiane, a volte cruente altre beffardamente idilliche. Vi trionfa una scrittura metamorfica, che spesso ti spiazza ma poi ti riporta in quella terra, che è già la nostra, di esseri umani, postumani, quasi umani, non umani. Poi, all’improvviso, uno scatto, uno scarto: un ritratto sapiente e dolente di una città come Siracusa che sta in mezzo ai racconti di questa elegante raccolta come una brezza marina che scompagina il volume che tenete tra le mani. Bisognerà trovare una parola nuova per definire il genere a cui appartengono queste storie di Randazzo.
(Pippo Ruiz)
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Francesco Randazzo è scrittore e regista. Laureato in Regia, all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma e in Filologia e Letterature Moderne all’Università “Guglielmo Marconi” di Roma. È attivo in Italia e all’estero come regista e autore per importanti teatri e festival. Ha pubblicato con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e quattro romanzi; ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi di letteratura e drammaturgia nazionali e internazionali. Parallelamente ha svolto attività didattica con corsi di recitazione, regia, drammaturgia e scrittura creativa, storia dello spettacolo, stages e conferenze per varie istituzioni pubbliche e private.