MANUELA ZANOTTI
“la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1-5)
“…O Gesù, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia” recitava uno sparuto gruppo di persone, appoggiate contro il muro dell’ultimo palazzo della via, qualcuno rintanato in un portoncino, altri quasi in bilico sullo strettissimo marciapiede, attenti alle auto che di tanto in tanto scendevano giù con un rumore quasi di ciottoli sul selciato. Sopra di loro, una Madonna a bassorilievo in terracotta, e una ciotola di gerani appesa ad una finestra aperta.
Di fronte, invece, si stagliava, la vecchia caserma “A.Durante”, come recitava l’insegna un po’ sbiadita che sovrastava il portone carraio. Due battenti scrostati tenuti insieme da una catena arrugginita e poi un susseguirsi di vari corpi di fabbrica dall’andamento irregolare, con una rientranza cieca invasa da edere ed ortiche, e poi aperture d’ogni forma e dimensione, ma tutte protette da grate, vecchie porte sprangate, cancelli con cartelli di divieto di accesso per pericolo di crollo.
Sul muro, quasi dirimpetto alla bella Madonna in ceramica, nel lieve accenno di una nicchia, c’era un’altra Madonna, questa ormai sbiadita, con un Bambino sul ginocchio e due giovani orfani inginocchiati in preghiera. Perché, infatti, prima di essere caserma, l’edificio aveva ospitato un ricovero di ragazzi abbandonati.
Miro, il sacrestano, salito su una lunga scala aveva posto in bilico sulla piccola cornice del dipinto un vasetto di margherite ed acceso due lumini, mentre il Parroco, prima di iniziare la recita del Rosario, aveva ricordato che in prossimità di quel dipinto circa due secoli prima, si apriva una cappella dove ogni mattina si recitava la Messa per i giovani ricoverati ma anche per gli abitanti della contrada. Ne restava solo più lo stinto affresco, mentre l’ingresso era ormai stato assorbito dal muro.
“…Santa Maria , Madre di Dio, prega per noi peccatori…” ed intanto lo sguardo di Nicola lasciava la sbiadita immagine dipinta, per seguire le irregolarità del vecchio muro. C’erano chiodi , vecchi tiranti, residui di filo elettrico con i sostegni di ceramica. E poi le finestre, irregolari occhi bui messi ad altezze differenti come su una mostruosa creatura.
Lo sguardo sfiorò una finestra che di grazioso aveva solo più la forma lievemente ogivata, con una frangia di opachi frammenti di vetro, salì sulla finestra nel sottotetto, che lasciava intravedere un frammento di cielo tra i vecchi coppi, per poi scorrere sui cornicioni smozzicati, fino a sfiorare il cielo tra il garrire libero delle rondini.
Nicola aveva colto in quel Rosario un chiaro significato riparatore, se non apotropaico. Lì, in quel cadente edificio, pochi mesi prima, era stata trovata, morta assassinata, la sua ex prof. di matematica. Era stato seguito un macabro rituale, ma questo era solo l’ultimo episodio, prima che i Carabinieri mettessero tutto l’edificio sotto sequestro. Prima, lì dentro accadeva di tutto, dallo spaccio al consumo di droga, dalle orge fino alle messe nere. Era risaputo, soprattutto tra gli studenti. Ma anche i vecchi raccontavano, mormoravano, amplificando la sinistra fama di quelle vecchie mura che in tempo di guerra erano state luogo d’interrogatori e torture.
Le avemarie si alternavano ai paternoster, ma le voci che imploravano e pregavano erano poche, forse la devozione era inquinata dal dubbio, o distratta dalle auto e dai rari pedoni di passaggio.
Qualcuno rallentava, uno o due si erano segnati, frettolosamente. Qualcuno, forse, si era chiesto se in una di quelle case fosse morto qualcuno. Altri, invece, erano immersi nei propri pensieri, o fingevano indifferenza, protetti dall’appendice meccanica dell’auto come Actarus dentro la corazza di Mazinga.
Una coppia sui trent’anni era passata a piedi. Lui si era segnato, rispolverando un gesto quasi dimenticato nell’infanzia; lei, invece, aveva tirato dritto, come da un po’ doveva esser solita fare nella vita, chiusa nella dura scorza di amarezze venuta fuori con gli anni. Era giovane, ma la scorza, come il mallo di una noce, era già dura.
Nicola che, nonostante tutto, cercava di pregare con un certo raccoglimento, ad un tratto vide affacciarsi nella parte alta della strada la Mercedes di suo padre: scendeva veloce, come sempre perché per lui il tempo era denaro, e quando fu vicino al gruppo, accelerò, quasi sgommando, schizzando ghiaietta sui lati.
Allora Nicola ebbe la sensazione di far parte di uno sparuto esercito nell’immane e forse vano tentativo di espugnare una fortezza dove il Male aveva preso una forma quasi tangibile asserragliandosi tra quelle mura ostili. Sì, li dentro c’era Qualcosa che pareva respingere quelle flebili preghiere come uno scoglio fa con la risacca del mare.
Un breve “Gloria al Padre” lievemente accennato, tra un mistero doloroso e l’altro, un’altra auto indifferente, se non ostile. I due lumini ondeggiavano lievemente ad un refolo disceso dalla piazza. Si erano accesi i lampioni che ora proiettavano un po’ di luce su quelle opprimenti muraglie. Il bel volto ormai diafano della Vergine, il Bambino nudo, già grandicello, che cercava di sgattaiolare via, i due orfani in ginocchio, in abiti settecenteschi…ma quelle buie finestre sembravano respingere la luce e al tempo stesso scrutarti minacciose, forse ancora custodi di terribili segreti. Un’oscura fortezza di tenebre, popolata di fantasmi. Nicola sapeva che le Tenebre possono rifiutarsi di accogliere la Luce, e lì dentro era così.
La Luce non poteva trapassare quei muri. Nicola era convinto che lì dentro, pur essendoci finestre, non un sprazzo di luce vi potesse entrare. Forse, a fatica, ci sarebbe riuscita la luce grande di uno spirito eletto, non di certo il debole chiarore di candela delle loro fedi, debole fiammelle piegate dal vento.
Debole luce che, però, si poteva raccogliere, proteggere con il palmo della mano, portare a casa e mettere sopra il lucernaio.
(Un altro racconto di Manuela Zanotti si può leggere qui)