ANTONIO LOMBARDO
«C’era nella mia natura un difetto capitale: l’amore del fantastico, delle avventure straordinarie e inaudite, delle imprese svelanti orizzonti illimitati di cui nessuno può prevedere l’esito. Io soffocavo in una esistenza calma e normale, l’animo mio era in continua agitazione, perché esigeva azione, vita, movimento», (il giovane Michail Bakunin).
Michele Bakunin nacque l’8 maggio del 1814 nel villaggio di Priamukhino presso Tver, oggi Kalinin, sopra Mosca e morì a Berna in Svizzera l’1 luglio 1976, terzo di undici figli, di famiglia aristocratica. Kaminski, il suo biografo, dà l’accento sulla u’, mentre il francese, molto in voga nella Russia dell’impero, finisce come ovvio sull’ultima ì, scrivendo Bakounine.
Nasce nel tempo della repressione delle prime rivolte contro lo zar; lui ufficiale dello zar vede gli impiccati e i deportati in Siberia, tra cui alcuni della famiglia di sua madre. A Mosca incontra Herzen che gli sarà amico tutta la vita ed entrambi di famiglie possidenti e ricche moriranno poveri in terre ben lontane. Da Herzen, Bakunin conosce le idee di Saint-Simon, contro cui già si era scagliato Marx, primo accenno del rifiuto marxista dell’Utopia. Herzen lo porta a studiare l’idealismo; di Fichte legge e traduce Introduzione alla vita beata e da questi arriva alla soggettività di Kant. Lui, educato alla disciplina militare, al dovere verso lo zar e all’obbedienza al Santo Sinodo della Chiesa ortodossa, laicamente impara che la legge morale è forza interiore dell’Uomo-Soggetto, e, da Hegel, che «tutto ciò che è reale è razionale». Bakunin non è per le vie di mezzo, la critica del soggetto non può fermarsi ad Hegel e a quell’affermazione, deve essere radicale.
Il poeta tedesco Herwegh, suo grande amico, coi poeti russi Venevitinov e Stankevitch ricorda Bakunin quando scrive «il desiderio di distruggere è al tempo stesso un desiderio creatore» ma il terrorismo di Necaev non troverà mai spazio nella proposta bakuniniana, seppure abbia amato la rivolta giovanile che ispira un atto, Necaev non lo seguirà nell’opera della rivoluzione.
Il liberalismo che deriva dall’idealismo non ha conflitti, eppure essi esistono e vanno affrontati. Conosce la sinistra hegeliana, Bauer, Feuerbach, Stirner, ma non gli basta, molte cose stanno avvenendo. La Francia, la Polonia iniziano il loro risorgimento; applaude al congresso degli slavi a Praga. Ricorda che la rivoluzione non può vincere in un paese solo.
Scrive a Herzen: «Ricordati che la rivoluzione è sempre per tre quarti fantasia e per un quarto realtà. La vita, amico mio, è sempre piu’ complessa di una dottrina».
L’incontro con Marx.
Marx aveva già bisticciato con Proudhon sull’economia. Bakunin riconosce l’analisi di Marx più corrispondente allo sviluppo industriale, sa descrivere la logica, il profitto è l’anima dello sfruttamento e non è un errore, ma riconosce all’anarchico Proudhon l’istinto di libertà di fronte all’autoritario Marx. Nella realtà Bakunin condivide l’analisi economica e sociale di Marx, supera l’a-classismo della rivoluzione slava e finalmente approda alla scelta a favore del lavoro: perché l’operaio non è il Soggetto kantiano del lavoro, ma nel capitalismo esso è un elemento della società delle merci, è merce egli stesso.
Bakunin non sarà mai comunista, l’esperienza della sua Russia, la prima scelta slava di comunità rivoluzionaria, il rifiuto proudoniano del determinismo marxista, lo fanno propositore del collettivismo. La differenza tra comunismo e collettivismo affiorerà palese, nella Prima Internazionale e nella profonda discussione che svilupperà contro Marx. Intanto con Marx ed Engels condivide il bisogno che il movimento operaio che si sta formando debba avere uno strumento organizzativo, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, la Prima Internazionale. Bakunin si occupa dell’Internazionale in Italia, ripulisce il locale movimento operaio dal nazionalismo del Mazzini, e in Spagna, situazioni simili alla sua Russia, dalle campagne si formano operai delle prime industrie, e ci riesce. Nel Giura Svizzero vede invece una nuova figura di operaio, quello che Gramsci vedrà sessant’anni dopo negli operai della Fiat occupata, l’operaio professionale, quasi l’artigiano che sa gestire il proprio lavoro, che conosce il pezzo che costruisce, sa da dove viene e dove porta quella parcella di mansione che compie, ed ha necessità di coordinarsi con altri come lui.
Il collettivismo bakuniniano condivide l’analisi marxista dello sfruttamento, delle merci, il rifiuto del rapporto salariale, la necessità di mettere in comune i mezzi di produzione e socializzare i bisogni fino alla loro soddisfazione, ma, a differenza del comunismo, conserva la libertà dell’individuo di autogestirsi, di aggregarsi, di formare cooperative, gruppi, sperimentare laboratori ed altro. Per questo fonda l’Alleanza della Democrazia Socialista che vorrebbe portare questa proposta nella Prima Internazionale:
«L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi.
Gli sforzi dei lavoratori per la loro emancipazione non dovrà tendere all’instaurazione di nuovi privilegi, ma a stabilire per tutti diritti e doveri uguali e ad annientare tutte le dominazioni di classe».
Come non vedere due profonde ed inconciliabili differenze con il marxismo:
- nessuna delega ad un partito politico, il rifiuto che esso gestisca la rivoluzione creando un suo potere;
- l’obiettivo di liberazione deve essere coerente nei mezzi, nessuna liberazione può avvenire dalla costruzione di una dittatura, seppure a nome del proletariato.
La Comune di Parigi segnò uno spartiacque sostanziale; entrambi giudicarono positivo l’esperimento, ma Marx segnalò la mancanza di organizzazione, Bakunin invece lo vide come la prima messa in opera dell’autogestione della rivoluzione sociale. Essa non poteva vincere isolata, il problema per Bakunin era la moltiplicazione ed il coordinamento di mille altre Comuni federate tra loro. Lo stesso problema che cent’anni dopo il Chapas dei zapatisti pose alla solidarietà internazionale, il Chapas non può vivere da solo un processo di liberazione.
Qui è lo scontro con Marx che in un congresso a casa sua espelle Bakunin dall’Internazionale.
Alla notizia dell’espulsione di Bakunin, le sezioni dell’Internazionale di Italia, Spagna, Francia e del Giura svizzero esprimono non solo solidarietà, ma condivisione dei due punti fondamentali; essi sottoscrivono che l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi. Senza nessuna delega ad alcun partito. O non sarà. Marx dichiara sciolta la Prima Internazionale e se ne va a New York.
Ed è proprio in Spagna, in Francia ed in Italia che il movimento operaio svilupperà un grado alto, storico, di conflitto con il capitale ed il latifondo e l’ autogestione della propria organizzazione. Il Sindacalismo francese, la CNT spagnola, l’Unione Sindacale Italiana e prima ancora il Sindacato Ferrovieri Italiani, nascono e si sviluppano con un forte senso di autonomia sindacale e rifiuto della delega politica.
Come non vedere l’attualità del bisogno di affermare tutt’oggi questa autonomia quando si parla di Nuovo Modello di Sviluppo quando l’analisi dello stato attuale delle cose sa analizzare radicalmente la logica del capitalismo, non fermarsi a pensare che sia un errore lo sfruttamento, esso è una logica. La socialdemocrazia nella quale è finito il marxismo, lo stesso leninismo hanno svolto più un’opera di modernizzazione del capitalismo che del suo superamento.
Un ultimo appunto, una critica a Bakunin dal punto di vista anarchico. Nello scontro con Marx, il nostro afferma il valore della Rivoluzione sociale invece che quella politica. Entrambe le dizioni presuppongo un movimento collettivo che comporti la costruzione di una struttura sociale che si propone, appunto, collettiva, organizzata, strutturata, in Marx obbligatoria, in Bakunin provvisoria in vista della libertà individuale. Entrambi non danno valore alla Rivolta, la differenza tra Rivoluzione e Rivolta è di struttura; storicamente la Rivoluzione comporta di nuovo la costruzione di una società che molte volte riproduce le stesse strutture della società abbattuta (URSS, Cina; Algeria, Vietnam, Cuba….) mentre la Rivolta è un diritto naturale, umano, sia dell’individuo, sia delle sue aggregazioni; essa è permanente ed è necessaria anche all’interno della Rivoluzione affinché l’obiettivo di libertà sia sempre presente negli stessi mezzi per ottenerla.
(Illustrazione di Silvia Pio)