Brevi cenni biografici
Sono nato a Guardiagrele in Abruzzo nel ’68. Dal ’98 vivo stabilmente a Milano. Nel 2002 ho lasciato un lavoro amministrativo presso una multinazionale americana per dedicarmi all’insegnamento nelle scuole superiori. Ho una formazione economico-aziendale.
Come e quando si è avvicinato al mondo della poesia?
Terminati gli studi in Economia capii che per troppo tempo avevo tradito la mia natura, più predisposta alla relazione e all’umano. Per compensazione iniziai a leggere in modo compulsivo, soprattutto romanzi di formazione. La lettura dei primi libri di (vera) poesia mi diede una maggiore profondità di visione. Così partii per Milano con alcuni di quei libri e poche certezze. Iniziano qui i miei primi tentativi di scrittura. Questo perché non mi bastava più soltanto leggere. Con la poesia che scrivevo, probabilmente, era come se cercassi un orientamento, una rotta per non perdermi nel mare aperto delle prime avversità.
Eventuali attività poetiche, collaborazioni (riviste, collettivi, ecc.) e pubblicazioni.
La mia prima pubblicazione era ancora troppo acerba. Mi trovai con quel libro davanti ad un bivio: lasciar perdere con molti rimpianti oppure dedicarmi con maggiore umiltà alla scrittura e, nello specifico, alla poesia. Scelsi di continuare, e l’opzione della “dedizione” mi costò quasi dodici anni di lavoro che diedero come frutto Latitudini delle braccia (Decomporre Edizioni, Gaeta) pubblicato nell’estate del 2013. Durante tutto questo tempo ho intensificato le letture. Cercavo una mia propria voce. Iniziai a scrivere, quasi dopo cinque anni di ricerca, i miei primi testi de La Linea Gustav, sezione che confluirà nel libro Latitudini delle braccia. Nel 2011, grazie all’amico poeta Lorenzo Gattoni, entrai a far parte della redazione del Monte Analogo. Giampiero Neri, “padre spirituale” della rivista, dopo aver letto le poesie de La Linea Gustav mi telefonò per dirmi che quella raccolta doveva essere necessariamente pubblicata. Mi scrisse una delle sue “cartoline” che poi sarebbe diventata la nota del libro. Grazie al poeta Massimiliano Damaggio, tra i primi a leggere il libro, le mie poesie arrivarono sul blog di Francesco Marotta, poeta al quale devo molto per come le accolse. Ma sono molti i poeti amici che si sono spesi con generosità. Tra questi, Antonio Alleva e lo stesso Gattoni, preziosissimi nell’editing finale dei testi.
Cos’è la poesia per lei ?
Un filo di Arianna che mi permette di non perdermi mai, dovunque mi avventuri, dovunque sia.
***
LA LINEA GUSTAV
Per non dimenticare i nomi
ogni dito che conta è fuori posto, non tiene il computo,
la somma che invece si fa con la voce è rotta
e per questo c’è sempre l’assenza di un volto
a discolpare il pianto
Vorrei cambiare nome agli inverni
tenendo più stretto il ricordo del freddo
il gelo nelle dita dei soldati
Veder sparare ancora i tedeschi
a denti serrati dall’alto del muraglione
con occhi che spezzano a vivo
la coda inerme degli sfollati
E cercarvi lì, tra i vecchi a coprire le madri,
le madri come rifugi per sagome minute
(tra il seno e la spalla, insenature
come porti per piccole teste
spaurite nella burrasca)
Sul paese come un’ombra la linea Gustav,
tracciato d’inchiostro sulle rovine,
il confine tra chi si butta a terra
prima o dopo lo sparo
***
Le mani toccano le radici
di una sorgente prosciugata
È così che dall’assenza attingo
quell’acqua, il ricordo che torna
come freddo tra le dita
Seduto su di una pietra, le scarpe
slacciate, contemplo i graffiti,
con unghie e sangue scavando
sino ai nomi dei padri
Poi mi porto dentro la vista
di un bagliore nella vallata
Come se il cielo si buttasse dall’alto
per venirmi a cercare
***
La poesia non può cambiare l’ordine
del dolore
Quella polvere non si poserà altrove,
piuttosto ricuce addosso la presenza
delle lapidi, insinuando al funambolo
che osa lo sguardo oltre la corda
che sovrasta le proprie rovine
Cercare ricordi, tra i muri anneriti
e le case abbandonate, noi tra le notti ancorate
con le unghie che vanno a fondo
ai bordi del materasso, avessimo visto i volti,
le madri tra i vuoti delle stanze,
avremmo un taglio più vistoso al collo
e come parole un filo di voce
Per questo lanciamo solo segnali di fumo
da posti sicuri e abbandonati
e se apriamo nascondigli
nutriamo un vuoto di formaldeide,
un lascito di brace che toglie il respiro
Lasciamo tepore, ma con parole di cenere
dopo ogni bivacco
***
Ci dissero di andare avanti
e noi svanimmo nella neve
Lettera
(Battaglia di Nikolajewka)
Abbracciami, come vedi il mondo
mi ha tranciato l’osso
che sostiene la carne,
per questo chiama da sotto i piedi
e mostra il vuoto
inesorabile dello squarcio
Attraverso le vene, prendimi,
prendi tutto quello che rimane
Se la mia faccia resta senza cielo
e gli ultimi sogni ad occhi aperti
soffocati nel fango
chiudili con la delicatezza della neve
e rivolgi il mio corpo
all’altezza del pianto