LORENZO BARBERIS.
Il mio percorso nelle riviste culturali monregalese del secondo dopoguerra ha un inevitabile punto di partenza: la rivista “Il Belvedere” (1963-1993). Data la lunga durata della rivista, dopo un numero introduttivo sulla sua nascita, ho deciso di esaminarne gli sviluppi in una scansione per decadi.
Qui un’analisi della prima annata, il 1963; qui invece l’analisi della rivista negli Anni ’60, gli anni forse più gloriosi della rivista, più legati allo spirito delle origini.
In questo articolo ho esaminato invece i numeri del Belvedere degli anni ’70.
Il Belvedere dei ’70 si apre con una certa ventata di novità.
1970. Divorzio, elettrodomestici, mafia, computer.
Da un punto di vista grafico, nei numeri degli anni ’70 notiamo fin da subito un ampio ricorso alle “ombre” di Berto Ravotti, l’artista monregalese (recentemente scomparso) di cui si era parlato già nei numeri sul finire dei ’60. Il Belvedere era scettico sulla sua evoluzione Pop Art, però qui usa ampiamente tali sue produzioni, come illustrazione della rivista. Forse anche perché sono immagini molto iconiche, e quindi molto efficaci.
Anche tra le pubblicità fanno capolino la “seconda generazione” degli elettrodomestici: se negli anni ’60 si vedevano quelle degli essenziali, il frigorifero, la lavatrice, il forno elettrico, ora iniziano ad aggiungersene altri: la lavastoviglie, macchine per il caffè, bilance elettroniche personali e da cucina; oltre che, come al solito, nuovi modelli di automobili (ad esempio, la FIAT 128).
Ampie pubblicità a tutta pagina delle ditte di costruzioni annunciano lo sviluppo dell’Altipiano, dove si va costruendo la nuova Piazza Monteregale. La marcia verso i Piani, iniziata col secondo dopoguerra, accelerata negli anni ’60 del Boom, va completandosi negli anni ’70, nonostante siano ormai nati, come avevamo visto, quegli “Amici di Piazza” che tentano di frenare lo spopolamento della città alta.
La popolazione, infatti, resta stabile poco sopra i 20.000 abitanti. Si tratta di un movimento interno, non di una crescita della città. Tra l’altro, con lo sviluppo dell’istruzione superiore in tutti i centri, va calando anche il numero di studenti nelle scuole superiori, e quindi nei collegi, come si riflette in altri articoli.
Sempre nel 1970, nell’articolo “Non solo zappe” si parla anche della modernizzazione del mondo contadino e della scuola agraria, in occasione di un convegno al riguardo a Certosa di Pesio. Il contadino del futuro è visto, nell’illustrazione futuristica, come una sorta di tecnico che regola la produzione agraria al computer.
Accanto al progresso tecnologico, si assiste a quello sociale. Sul divorzio, di cui nel 1970 va ad approvarsi la legge, il Belvedere ha una posizione moderatamente aperta. Dato che su questo la DC non può scindere il “fronte laico” degli altri partiti, ritiene debba cercare di fare la miglior legge possibile nella sua prospettiva cristiana. Curioso notare come i manifesti DC, che il Belvedere riporta, siano ancora profondamente arretrati nell’impostazione, e ricordano quelli delle campagne anticomuniste dell’immediato dopoguerra (1948). Sono passate quattro decadi, ma lo stile (ormai superato) è ancora quello.
Continua invece la battaglia contro la pornografia, specialmente contro quella importata dai paesi scandinavi, sessualmente più liberati.
Come al solito, purtroppo, i fumetti sono sempre associati, senza distinguo, alla pornografia. In generale, i giovani “integrati” al nascente consumismo sono visti in toni piuttosto critici.
Continua invece la simpatia per i giovani Hippies, che in un trafiletto vengono addirittura avvicinati a Gesù Cristo. In fondo, anche lui era un capellone, un agitatore sociale denunciato dall’autorità per il vilipendio alla religione e il suo provocatorio invito a distribuire i propri beni ai poveri.
Però su questo il fronte non è così unitario, e in un articolo, “Il mito dell’assemblea”, si critica l’ossessione per l’unanimismo assemblearista e le estenuanti discussioni, velleitarie e inconcludenti, tipiche del movimento giovanile.
Nel primo numero del 1970, inoltre, per la prima volta il Belvedere parla della questione della Mafia, in connessione con uno dei tanti scandali nazionali che dimostrano sempre più le connessioni tra mafia e politica: i fascicoli della commissione antimafia sono stati persi nei meandri dei ministeri romani, vanificando il lavoro fatto fino allora..
Sul piano locale, continua la polemica con Costa, in costante crescita di consensi elettorali, critico con toni “apocalittici” contro la DC. Nel 1970 infatti la DC, scesa a 15 consiglieri su 30, si era alleata con i 4 consiglieri socialisti elidendo le “estreme” dei 3 comunisti dell’opposizione, ma anche degli 8 liberali costiani che, in teoria, erano parte anch’essi del pentapartito (e ben più significativi numericamente). Il sindaco Martinetti scrive ampli articoli per giustificare questa scelta, che porta a un vicesindaco socialista e conferma la natura di sinistra della DC locale.
Sotto il profilo più strettamente culturale, l’affermazione artistica del fotografo monregalese Michele Pellegrino viene seguita dal Belvedere con puntualità e passione, documentando i vari successi a livello nazionale dell’autore, con le sue rigorose documentazioni del mondo contadino e della montagna, delle “Scene da un matrimonio” legate alla sua attività di studio, e numerosi altri volumi. In qualche modo si attenua quel giudizio critico negativo sulla fotografia apparso nei tardi anni ’60, sia pure legato a “discussioni interne” della redazione.
1971. Mondovì tra Comprensori, Europa e Supermarket.
Il 1971 vede un completamento dell’espansione edilizia con lo sviluppo del nuovo Corso Europa, che amplifica il centrale Corso Italia dell’Altipiano. L’Europa, allora, era evidentemente ancora il sogno della pace tra i popoli, non l’incubo del dominio delle banche come a torto o a ragione è diventato oggi.
La vera minaccia sembrano i primi supermarket, finalmente chiamati con il loro nome moderno. O almeno, così appare al commercio locale al dettaglio, che si vede insidiare nel proprio oligopolio.
Sul Belvedere si inizia inoltre a parlare della creazione di un Comprensorio monregalese, che crei una maggiore azione unitaria del territorio che ha in Mondovì il suo centro. Nei progetti proposti, come si vede, si tratterebbe di un’area pari a circa un quarto della Provincia Granda cuneese, fino ad espandersi, un po’ velleitariamente, fino alle porte di Bra. Il progetto, fortemente voluto dal gruppo amministrativo della città (di cui il Belvedere era espressione) giungerà infine in porto, per poi decadere negli anni seguenti: per la fine di quel tipo di realtà amministrativa, per ragioni di risparmio (oggi stiamo andando addirittura all’abolizione delle Provincie), forse per un minore interesse del nuovo gruppo dirigente cittadino subentrato negli anni ’90.
Sotto il profilo del costume, continua la diffusione della droga a livello giovanile: sono alcuni camerieri di un bar locale, non identificato, ad essere il collegamento tra la piazza di spaccio di Torino e quella di Mondovì.
Altri articoli mostrano una certa disillusione nei confronti del movimento giovanile, in cui si nota, contro le aspettative, uno scarso peso della componente cattolica, e un prevalere anzi di elementi anticlericali. Meno Don Milani e più Keith Richards, insomma.
Un articolo intitolato al problema della “Stampa Porno: oltre l’impossibile” (che oggettivamente suscita fantasie su quali prestazioni eccezionali vengano stigmatizzate) parla come al solito anche di fumetti generalisti, per la prima volta dando un nome ai “fumetti gialli” così esecrati (un lettore moderno potrebbe pensare ai giovini traviati da quel pericoloso morfinomane di Sherlock Holmes): Diabolik delle Giussani, Satanik e Kriminal di Max Bunker, i tre pilastri in effetti del fumetto noir italiano, che in Mondovì vendono circa 300 copie in tutto, coprendo il 90% delle vendite di fumetti (calcolo a spanne del Belvedere, temo però). Fumetti che, per il Belvedere, non sono solo pornografici (eccessivo) e violenti (ovvio), ma esaltano il superomismo (meno di quelli americani, però…), ma anche razzismo e nazifascismo (e qui siamo totalmente fuori strada). “Come del resto”, conclude l’articolista, “i film di 007 e gli Spaghetti Western”. Tanto per non farsi mancare nulla.
Il Belvedere dà anche la notizia della rinascita massonica in provincia, con la rifondazione di una loggia a Cuneo, sorta su un Triangolo Rituale (da 3 aderenti si è passati quindi a 5-7, se non vado errando). Da poco è scomparso uno dei grandi massoni monregalesi, il dottore veterinario Giuseppe Gasco, grado 33 della massoneria e direttore del periodico teosofico “Nuova Era”, pubblicato a Mondovì ma con caratura nazionale dal ’60 al ’66 (una delle due riviste teosofiche, a fianco di quella ufficiale dell’ordine, di cui Gasco era stato segretario tra ’40 e ’50). Egli collaborava anche alla Gazzetta di Mondovì, a cui probabilmente si collegano gli altri “massoni nostrani” che il Belvedere sa, ma non può nominare.
Il 1971 è anche l’anno in cui riprende il Carnevale (per l’Unione monregalese di fine ’800, festa diabolica e massonica), tradizione prima a lungo sopita dopo gli ultimi fasti degli anni 1950-1956. Ogni anno il Belvedere darà ampia copertura a tale evento, che testimonia in qualche modo della vitalità della città; va anche detto che quasi sempre il titolo è “Nonostante tutto, è carnevale”, sottolineando come il momento di felicità e allegria avvenga in un quadro quasi sempre ritenuto complessivamente cupo.
1972. L’Anno del Grattacielo.
Il 1972 del Belvedere si apre con una riflessione sui giornali nelle scuole (n.1). Una pratica totalmente assente nella mia giovinezza scolastica anni ’80-’90, sia nelle medie che nelle superiori (la professoressa d’italiano, per altro molto brava, delle medie ci invitò bruscamente a mettere via il giornale che avevamo comprato, con due compagni, per capire la caduta del muro di Berlino), e che invece mi sono trovato a proporre, dai primi anni 2000 in poi, durante la mia attività di insegnamento di lettere.
Credevo fosse una novità portata dalla crisi del giornalismo e dalla diffusione di internet: ma invece già nei ’70, evidentemente, sulla lezione di Don Milani che lentamente penetrava, la adottavano. Nei ’70 la cosa non è ovviamente spinta dal giornalismo in crisi, ma viene dalla sperimentazione autonoa dei professori. La lettera, della classica mamma preoccupata, si dice spaventata dal pericoloso laicismo della Stampa: ma chiedere a Billò un parere sui giornali è come chiedere all’oste se ha buon vino, e la risposta è ovviamente positiva all’esperimento; al limite, il direttore consiglia di ampliare ad altre testate, per un confronto più produttivo. Sullo stesso numero, curiosamente, si parla della chiusura della Gazzetta del Popolo, che lascia la Stampa quale unico giornale piemontese.
Una avveniristica pubblicità, invece, annuncia la nascita del Grattacielo di Mondovì, come è pomposamente definito, ancor oggi, il palazzo a sette piani davanti alla stazione.
Un pregnante pezzo ripreso da un articolo del critico Argan spiega il complesso e raffinato monumento astratto alla Resistenza creato a Cuneo quell’anno: Argan ne elogia la volontà di non farsi retorica celebrativa, e di sfruttare invece il simbolo del Cuneo geometrico per esprimere la volontà di movimento avanguardista insito nella lotta resistenziale.”Il monumento di Cuneo, nella storia dell’arte del secondo dopoguerra, è il solo esempio di arte di avanguardia come arte di rivoluzione”.
E il Belvedere conferma la sua posizione progressista nelle arti, quando si parla di astrazione.
Sul n.2 troviamo una prima vasta collaborazione di Giorgio Tino, che si occupa del cinema. “Lo chiamavano Trinità”, film dell’anno per gli incassi, è visto relativamente in positivo perché con esso lo spaghetti-western, mai amato dal Belvedere, passa da “gratuita violenza a gratuita comicità”. Per la prima volta notiamo un attenuarsi dello spirito ipercritico contro i western all’italiana.
Anche sui numeri 4 e 5 si segnalano soprattutto, di nuovo, altri articoli di approfondimento di Giorgio Tino, dedicati ai giovani monregalesi in generale (anzi, provocatoriamente, alla loro “non esistenza”, per la tendenza a vedere Mondovì solo come un punto di partenza da cui fuggire verso realtà più grandi, specie Torino, o da vivere come mero dormitorio) e poi al rapporto tra giovani e politica. Anche sulla politica, ovviamente, a fianco di “qualche ultras”, a sinistra e a destra, emerge disinteresse e disimpegno. Le considerazioni in sé di Tino sono abbastanza ovvie, ma lo stile icastico ed efficace raggiunge talvolta punte brillanti (sui giovani missini: “La loro unica dote è quella di esser nati dopo il ’45, e nemmeno quella pare che siano riusciti a metterla a frutto”).
A proposito di politica, il sesto numero dell’anno mette sotto il microscopio il risultato elettorale, criticando la crescita del pericoloso (per la DC) “partito di Mondovì” che va teorizzando l’esigenza di votare un candidato locale, al di là del partito di appartenenza: teoria che finirà per favorire Costa.
Molto bella soprattutto la vignetta di Billò, a incisione, che pare quasi avvicinarsi a certi esiti del fumetto underground americano (casualmente? Bisognerebbe fargli leggere Art Spiegelman). I fasci littori si stagliano sul profilo di una immaginaria, distopica città futura, come torri colossali, canne fumarie di fabbriche concentrazionarie. Altri grattacieli, opposti a quello “democratico” che andava in quell’anno sorgendo in città.
(L’uso di incisioni diventa da allora una costante, più frequente nei ’70, più episodico in seguito).
Come spesso accade, una vignetta riuscita è quella che dà il tono al giornale, e Billò così commenta efficacemente quello che all’interno si articola in parole. Colpisce, nelle vignette, ma anche nella satira e nella seria critica politica, il grande rilievo dato all’MSI di Almirante. Il Belvedere aveva dedicato in effetti grande spazio allo studio del fenomeno storico del fascismo, specie monregalese: ma l’MSI sembrerebbe meno rilevante rispetto allo spazio che gli è riservato, almeno a Mondovì.
Probabilmente incide il vedere in Almirante un rinnovarsi del fascismo e nel suo porsi in una inedita chiave “atlantista” il rischio di un suo ingresso nell’area di governo fino a spostare molto a destra la DC, rischio già corso ai tempi di Tambroni (a Belvedere ancora inesistente), nei primissimi ’60.
Bello il concorso sui “particolari misteriosi” della città (n.9), esperimento che però resterà isolato: io ho subito riconosciuto il massonico compasso dell’Abate Beccaria, ma le foto sono belle anche così, come pura opera d’arte, di fotografia astratta.
Intanto si afferma il tema, ben più grave, della chiusura della Richard Ginori, problema che il giornale segue con attenzione e partecipazione. Sotto il profilo culturale, si segna la riscoperta del libro antico monregalese, e il Belvedere non resiste alla tentazione di ripubblicare, come fosse una pagina di giornale, il primo foglio del Confessionale di Sant’Agostino del 1472, di mezzo millennio prima.
Si parla perfino, con l’ironia tipica di Billò, dell’apparire di una edizione italiana di Playboy (n.10), riferendo delle reazioni dei vari partiti politici come presupposto di una divertita satira. Tuttavia appare uno sguardo meno arcigno, più divertito che di vera condanna, quasi più pretesto che vero sdegno.
Lo sdoganamento del fumetto e del gusto pop è confermato dalla grande pubblicità del Diorama (il complesso che include il celebre grattacielo edificato in quest’anno). Per darsi tono di modernità, la reclame ricorre anche al fumetto, poco amato dal Belvedere, che in questa forma fa la sua apparizione sulla rivista. “Il gemello del Grandangolo”, viene definito il nuovo complesso, che come lui prende nome dalla terminologia fotografica, per evocare la splendida vista sulla collina di Piazza (abbandonata quindi da un punto di vista residenziale, ma riutilizzata come “paesaggio da cartolina”, paradossalmente). La pubblicità optical esalta la modernità dei due complessi, con cui in qualche modo si completa la costruzione dei luoghi simbolo del neonato Altipiano, il nuovo quartiere residenziale della città.
Simmetricamente a questo modestissimo sdoganamento del pop, del fumetto, dello spaghetti western (vedi Tino), una riflessione amara sulla difficoltà di diffusione di ricerche astratte nella cultura artistica della città: sul n.12, una riflessione culturale di Ezio Briatore ragiona sullo stato dell’arte locale: nel 1971 aveva aperto La Rotonda di Gino Zanat, terza galleria in città dopo Il Pavaiun di Guidotti, rapidamente chiuso, e La Meridiana di Avico, che aveva fortemente ridotto la sua attività. Nonostante l’alto livello delle mostre offerte (oltre ai migliori nomi locali, sono esposte opere di Aligi Sassu, Colombotto Rosso, Soffiantino), le esposizioni hanno una trentina di visitatori a fronte di una città di ventimila abitanti.
1973. L’Anno della Crisi.
Se i primi anni ’70 erano ancora, a Mondovì, segnati da una certa crescita (soprattutto edilizia, dell’Altipiano, segnata al suo culmine, nel ’72, dal Grattacielo), il 1973 è un anno di crisi: a livello globale, innanzitutto, la Crisi Petrolifera, ben raffigurata da questa incisione di Billò, che trasforma le pompe della stazione di servizio nei serpenti del Laocoonte. Anche a Mondovì si inaugura l’austerità delle domeniche senza auto.
“Se Atene piange, Sparta non ride”, però: se l’Occidente del benessere è scosso dalla crisi petrolifera, anche nel mondo sovietico, si evidenzia, ci sono i primi segnali che il blocco comunista inizia a vacillare. Per ora forse è solo wishful thinking, anche se la sconfitta del ’69 non può non pesare, e infatti nel 1975 l’URSS accetterà un piano spaziale congiunto con gli USA. Ma l’immagine che il Belvedere utilizza è particolarmente potente, col senno di poi: la statua di Stalin abbattuta nottetempo fa ipotizzare la presenza di un dissenso ormai non più facile da stroncare. Anche se ci vorranno ancora più di quindici anni all’implosione.
Anche il 1973 di Mondovì si apre con una nota dolente: la chiusura della Richard Ginori, nonostante l’impegno di sindacati, operai, amministrazione per scongiurarla. Il tema della depressione industriale monregalese accompagna malinconicamente tutta l’annata, in un profluvio di studi e indagini volte a scoprirne cause e possibili soluzioni.
Il primo numero affronta anche un nuovo tema: quello della prostituzione, problema certo non nuovo, ma che per la prima volta il giornale ritiene di approfondire, con il solito atteggiamento laico. Con il benessere, e con il nuovo stile di vita del boom, il fenomeno è aumentato, come era apparso dieci anni prima anche dai “Mostri” di Dino Risi, dove la prima ’500 serve al protagonista, una volta mostratala alla famiglia, per andare a prostitute.
Il grande e caustico affresco di Risi sul boom è del ’63, stando al Belvedere, il fenomeno a Mondovì si avvia nel 1968-69 (quattro anni fa, di dice nel ’73). Si parla di 233 fogli di via negli ultimi tre anni, un numero in effetti consistente. Pendolari da Torino, si associa la condanna di una quindicina di protettori, ma ogni volta, dicono disarmati i carabinieri, “si ricomincia da capo”.
Se la Stampa propugna il superamento della Merlin, il Belvedere, allineato alla chiesa, sottolinea il problema sociale, oltre che morale, sotteso alla prostituzione, da risolvere con maggiori interventi assistenziali. Le posizioni sono ferme da allora, insomma: il (cinico?) pragmatismo laico non si affermerà, l’utopismo confessionale e idealistico nemmeno.
Sul numero 6, invece, si parla anche del nascente mondo degli scambisti, indagato da “un amico” per puro approfondimento culturale, inviando un discreto annuncio sulle riviste giuste e ricevendo in cambio, a fermo posta, un cospicuo fascio di lettere.
Sul numero tre, mentre si riprende a parlare di Droga (già apparsa col ’68), Giorgio Tino analizza anche la crisi dell’Università ormai di massa, mettendo in evidenza anche, con notevole lucidità, come l’antiautoritarismo sessantottino diffusosi tra corpo discente e docente rimanda anche a una complessa crisi industriali: sfornati troppi geometri e ragionieri col boom (anche il Belvedere ne aveva parlato) si era dovuto trovare il modo di assorbirli per evitare la disoccupazione intellettuale, prima inesistente, e li si era quindi indirizzati verso l’università, liberalizzando gli accessi ma creando il rischio, di conseguenza, di una disoccupazione intellettuale ancor più iperspecializzata. Il problema, che allora iniziava a venire alla luce, è quello che riguarda anche l’attuale crisi occupazionale generalizzata: alla lucidità di visione di alcuni non corrispose mai nemmeno un tentativo di soluzione, in questo come in altri ambiti.
Di università si parla altrove per quanto concerne la riforma in atto, e la possibilità di Mondovì di ottenere una sede; Tino mostra, anche qui, la capacità di andare al cuore del problema, mediando tra eccessivi idealismi o mera visione pragmatico-amministrativa: inutile elaborare sogni di rinascita dello spirito dello studiolo sabaudo Cinquecentesco, ma non è neppure solo un problema di rapporti di forza politico-elettorale: l’ateneo dev’essere pensato, inserito nel tessuto urbano, utile ai discenti e alla città.
Nel numero 2, per la prima volta in prima pagina si parla di Mafia, che avrebbe ormai esteso i suoi gangli anche sulla politica piemontese, fino ai livelli regionali.
A livello locale si inizia a parlare, inoltre, di chiusura della Funicolare, avvicinandosi alla conclusione la concessione, che il concessionario non intende rinnovare. Un altro segno della crisi che incombe sulla città.
Gruppuscoli extraparlamentari di sinistra maoista, forse “invitati” da esponenti del Quartiere, il giornale della sinistra laica monregalese, contestano la DC alle celebrazioni del 25 aprile di quell’anno (n.6); sul n.10 si inizia a parlare del problema di scritte spray per contestare il golpe contro Allende in Cile.
Sul n.7, il detestato Almirante giunge in visita a Mondovì, nella sede fascista cittadina dell’MSI, in Viale Vittorio Veneto (perfettamente adeguato, per un Mussolini che alla Marcia su Roma dice al sovrano: “vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”). “Provincia2000”, l’house organ costiano, si lamenta però che a Cuneo, “per una ben strana norma democratica”, l’erede di Mussolini non possa parlare a Piazza Galimberti (certo, in questo caso, la toponomastica produrrebbe un effetto di stridente contrasto).
Il 1973 è anche l’anno del decennale del Belvedere, che si autocelebra con abbastanza sobrietà. Utile l’elenco completo dei collaboratori, in rigoroso ordine alfabetico: Ermanno Beltramo, Renzo Bertone, architetto, che si è occupato soprattutto degli aspetti artistici e urbanistici; Gigi Campogrande, che ha ricostruito la rivoluzione al caffé del fascismo monregalese; Vico Cuniberti, che ha tenuto il “Cannocchiale” e diffuso le idee di Don Milani su istruzione e obiezione; Piero Golinelli, con articoli sulla programmazione legislativa a livelli dal locale al nazionale, Francesco Marocco, riconosciuto come “l’ideologo” del gruppo del Belvedere, Memo Martinetti, il sindaco cittadino, Albino Morandini, legato soprattutto alle ricostruzioni storiche della resistenza, Giacomo Lissignoli, Giandomenico Tealdi, Giorgio Tino e il direttore Ernesto Billò. Tra collaboratori precocemente scomparsi, Mario Giusta e Brunetto Deorsola, mentre più occasionali i contributi dell’architetto Mamino e di Ezio Briatore per l’arte.
Affascinante, a Novembre, una documentata lettera su “come sarà Mondovì nel 2015?”. Ci si domanda se le città come Mondovì cresceranno o crolleranno in favore di Torino (in realtà si resterà stabili). Nonostante la crisi petrolifera in atto, si continua a ragionare in termini di centralità assoluta della FIAT e dell’automobile.
Su questo, il progresso non sarà così accentuato, ma in effetti Torino perderà di fatto la sua funzione produttiva in tale ambito, reinventandosi su altri settori dal ’90 in poi, e mantenendo, ma più ridotto, il suo ruolo attrattivo. L’ipotesi per Mondovì era una flessione a 20.000 abitanti, rispetto a cui la città ha fatto meglio, ma non molto. Invece la crescita complessiva è rallentata, e quindi non si ha una Cuneo a 80.000, ma si rimane sui 50.000, mentre forse Alba e Bra non sono giunte ai 30.000 previsti, ma hanno certo rafforzato sempre più il loro ruolo provinciale sotto il profilo economico. Torino addirittura crescerebbe fino a un milione e otto di abitanti, e viene visto come “nemmeno molto”: invece sarà tanto il suo frenare il crollo sotto il milione a livelli tollerabili.
R.D., autore della lettera, si interroga correttamente su quanto inciderà “la pillola”, e in generale comunque la programmazione demografica, che in effetti frenerà del tutto queste ipotesi di crescita e convergenza al centro. Ci sarà una terza, o quarta guerra mondiale a stroncare del tutto la crescita? concluderà infine con catastrofismo di circostanza.
In effetti i ccritici dell’espansionismo degli USA dei Bush ritengono la loro campagna in medioriente una fallita duplice guerra mondiale, ma certo di minor impatto di quanto si poteva temere nel conflitto tra USA e URSS, potenze nucleari in grado di azzerare, non solo ridurre, la demografia mondiale. Il Belvedere, di fronte a un certo gusto iettatorio tipico dei futurologi, tiene una debita distanza.
1974. L’Anno del Divorzio.
Il decennale del Belvedere, nel ’73, aveva quindi visto un anno di crisi: crisi globale, petrolifera, ma anche crisi locale della Richard Ginori, e ulteriore disillusione di una possibile “luna di miele” con la sinistra giovanile emersa dal ’68, che aveva operato strumentali contestazioni della DC di sinistra del Belvedere come “fascisti DC” alle celebrazioni del 25 aprile.
Il 1974 si apre sempre con un senso di crisi industriale: dopo la Richard Ginori, è l’abitificio Rossi a chiudere. L’elegante immagine dell’abitificio, apparsa in varie pubblicità sul Belvedere, ritorna un’ultima volta per la svendita totale della chiusura, mestamente. Anche la CAMEF chiude, e il periodo di crisi porta a sospendere, nel ’74 e poi anche nel ’75, i fuochi artificiali portati in città dai Gesuiti, nel ’600, e divenuti uno dei simboli della vita cittadina. Anche a fronte della lunga crisi avviatasi col 2008 si parlerà di abolire i fuochi, evento finora scongiurato.
In controtendenza, e segno di un benessere che comunque si diffonde, il Belvedere parla di un boom della ginnastica a livello cittadino, nelle sue varie declinazioni maschili e femminili, con un conseguente problema urbanistico di adeguamento degli spazi delle palestre cittadine. Un boom sportivo che sarà seguito, negli anni successivi, da uno sviluppo ad ampio raggio dello sport oltre il tradizionale ambito del calcio (praticato a Mondovì, come ricorda spesso il Belvedere, fin dai primi del ’400, attestato come “pillota” negli statuti del 1415).
Il referendum sul divorzio del ’74 crea una certa divisione interna nel Belvedere. La new entry Giorgio Tino pare più favorevole alla legge esistente, Vico Cuniberti più orientato all’abrogazione, a giudicare dagli scritti. Numerose anche le lettere dei lettori ospitate su un tema molto delicato per un giornale cattolico e progressista insieme. Alla fine, anche a Mondovì vince il No all’abrogazione, col 56 per cento dei voti.
Proprio il tema del divorzio è l’oggetto del primo interessante incontro-scontro tra Belvedere e “Una tazza di the”, la rivista di controcultura nata proprio in quell’anno, che è in qualche modo un antenato di Margutte: una “lettera al direttore” (espediente frequente del Belvedere) parla di “Una tazza di the” distribuita dalla libreria alternativa La Teiera in Via Funicolare a Mondovì, con riferimento alle sue posizioni su divorzio e famiglia
Come ovvio, una Tazza di The non solo è favorevole al divorzio, ma contraria allo stesso istituto matrimoniale, visto solo come un carcere freudiano di opposte frustrazioni. “Il the mi piace poco, col suo sapore di acqua di fieno” replica Billò. E “del circolo non so molto”, prende le distanze, senza attaccare: un circolo vicino alla controcultura del Re Nudo e ai radicali di Pannella, venuto a Mondovì per la campagna del referendum.
Della “Tazza di the” ho scritto qui, e rimando quindi alla rivista per una eventuale “lettura in parallelo”.
Interessante notare che, mentre La Tazza analizza i libri di testo “clerico-fascisti”, il Belvedere riporta questo stesso anno degli attacchi dei fascisti de “Lo Specchio” al “sillabario velenoso” dell’editore di Farigliano, Nicola Milano, con le sue fiabe progressiste alla Rodari.
Il confronto continua nel numero dopo con lettera della Tazza e risposta: “Diamoci del the”. Si marca la distanza tra i due gruppi, che continueranno uno scontro a distanza con una serie di articoli e lettere sul “Belvedere”. Il dialogo tra controcultura giovanile “post-conciliare” e la sinistra cristiana del Belvedere, che aveva preparato il concilio, si rivela qui fallimentare.
Ma anche il Belvedere non è del tutto immune dalla “Simpathy for the devil”.
A Maggio, la riscoperta dell’Anticristo monregalese nelle biblioteche del Vaticano affascina, e si riferisce anche di una riproposizione radiofonica di Gipo Farassino, che sarebbe affascinante ritrovare. In seguito, Farassino interpreterà anche lo spettacolo teatrale dal vivo, addirittura nella cornice della Grotta di Bossea.
Il dotto studio di Gianluigi Beccaria che accompagna la presentazione dell’opera evidenzia come in essa prevale in verità il tema del Giudizio: vediamo l’Anticristo presentarsi, pretendere l’adorazione da tutte le genti: i sovrani allora si dichiarano disponibili a venerarlo se volerà in cielo, ma l’Arcangelo Michele lo fa precipitare; e a questo punto, conclusa la Storia, si apre il Giudizio universale.
Inonltre, sul n.12 anche una recensione dell’Esorcista, ad opera di Roby Giusta, altro collaboratore giovanile poi non rimasto all’interno del gruppo, che appare possibilista sul film (su una rivista per cui, ricordiamo, 007 e Spaghetti-Western erano troppo violenti).
Sul numero otto si inizia a parlare anche di una TeleMondovì, una Mondovìsione. In effetti nascerà, ma resterà nella sfera di influenza del “polo laico” della città.
1975. Pittori di notte.
A livello civico, il 1975 si segna invece per il mancato rinnovo della convenzione per la funicolare, accolto da ampie polemiche degli urbanisti cittadini, cui il Belvedere dà vasto spazio. In un certo senso, la crisi della Funicolare è simmetrica all’espansione dei Piani di cui davano testimonianza i numeri precedenti del giornale, tra articoli di approfondimento sull’edilizia e le ancor più vistose pubblicità dei costruttori. Mondovì non ha più il suo fulcro in Piazza, che è al massimo il centro sotto il profilo artistico-culturale. Il centro è Breo, ma la residenzialità si è spostata sui Piani. La chiusura della Funicolare sarà però un notevole “shock culturale”, la vecchia Mondovì che se ne va, e diverrà un nuovo cavallo di battaglia costiano (in effetti, i liberali monregalesi riusciranno poi a ricostituire la Funicolare, dopo la loro presa della città, con un novissimo progetto del prestigioso designer Giugiaro).
Il ’75 si apre però anche, a gennaio, con una ripresa della polemica con la Tazza di the, “estremisti”, contro la “Kiesa”. I theisti rispondono nel n.2, evidenziando la poliedricità delle loro battaglie culturali. “Un calderone”, ironizza il Belvedere. “E un po’ di zucchero? Due cucchiaini, grazie.” conclude, con un invito a uno stile più garbato.
Sullo stesso numero si citano le imprese di uno dei membri della Tazza di The, il creatore della psichedelica grafica della rivista, che si rivela anche “Pittore di notte”, intitola Billò citando il film, allora in voga, Portiere di Notte. Il ventenne G. B. viene infatti sorpreso dai tutori dell’ordine mentre arricchisce il cartellone delle opposizioni “Ospedale, problema di tutti” criticando l’incoerenza del “fronte laico”. Al PCI domanda “Cosa ci fai con questi due fascisti?”; sotto il PLI esplica “Partito di Costa”, e al PSDI aggiunge una bandierina americana.
In fondo però al Belvedere non sembra spiacere questa contestazione della Tazza di The, che in fondo mette in evidenza le incoerenze dei suoi avversari, la “strana coppia” PLI – PCI che alla fine, nel 1990, manderà all’opposizione i democristiani. Anche l’Ospedale è un tema caro della propaganda dei costiani, che effettivamente costruiranno poi in seguito il nuovo nosocomio monregalese, e che su questa base coaguleranno il loro crescente consenso.
Il Belvedere segue infatti stizzito, anche nei numeri di quest’anno, le evoluzioni di un Costa che prende sempre più voti: Monarchico nel ’60, Cattolico “indipendente” nel ’64, Liberale nel ’70, ci si chiede quali saranno le successive evoluzioni della sempre più incombente figura politica (n.3).
Tra le curiosità di costume, sempre a marzo l’articolo “Il mago mi ha detto” in cui ci si scaglia contro le fumisterie dei maghi, che evidentemente iniziano, a metà ’70, a dilagare anche nella placida e bianchissima provincia monregalese. “Un amico” del Belvedere va dal mago e lo interpella sul futuro politico della nazione: il Mago ovviamente si barcamena nelle vaghezze tipiche degli oroscopi: la DC è in difficoltà ma potrà risollevarsi se coglierà l’occasione. Sì, ma l’evoluzione sarà a destra o sinistra? Incalza l’inviato del Belvedere. Il mago allarga le braccia “E cosa sono, ormai, destra e sinistra?” Il Belvedere lo sfotte, ovviamente, ma alla luce degli sviluppi in questi anni ’10 del 2000, dobbiamo ammettere che aveva ragione lui.
La crisi della DC, comunque, non è solo oggetto di uno scherzo a stregoni dalle dubbie capacità, e il Belvedere dà spazio alle idee di padre Bartolomeo Sorge, che auspica addirittura la nascita di un secondo partito d’ispirazione cristiana, più coraggioso.
Un buono spazio è riservato anche, sotto il profilo culturale, a “Il Quinto Evangelio” di Mario Pomilio, presentato dall’autore in quell’anno a Mondovì e recensito da G.D.T., probabilmente Gian Domenico Tealdi, che lo presenta come riuscito tentativo di letteratura cristiana moderna, dopo il modello ottocentesco di Manzoni e i tentativi eterodossi ma ricchi di stimoli di Silone, nel secondo dopoguerra. Non esita a definirlo “vero capolavoro” e ad auspicarsi che sul suo modello, come nella Francia di Bernanos e altri, nasca una letteratura cristiana anche in ambito italiano.
1976. La fine della fune.
Dopo il lungo dibattito trasversale al ’75, il 1976 del Belvedere si apre col saluto alla funicolare “vecchia signora” di Mondovì (identitaria come la Juventus a Torino, insomma) e nuove riflessioni su come ripristinarla, ora che non si è riusciti a scongiurarne la chiusura, così sgradita ai cittadini.
Un successo è invece l’apertura del comprensorio, battaglia fortemente voluta dal gruppo del Belvedere, e ampie riflessioni accompagnano la sua nascita, ragionando su come massimizzarne l’utilità per la zona monregalese.
1977. Ripensare il Belvedere.
A inizio 1977 così il sindaco Martinetti si dimette da primo cittadino della città per andare a dirigere il Comprensorio, sua creatura politica. In questa occasione, quasi a sorpresa, i vari partiti esprimono grande apprezzamento per il suo operato: non solo il PSI, alleato, che dichiara “vorremmo respingere le dimissioni”; ma anche il PCI esprime, in modo più limitato, “doveroso apprezzamento per le capacità individuali”, mentre Costa, del PLI, dichiara che è stato “al centro di notevoli e in fondo ordinate trasformazioni”, dando quindi un giudizio complessivamente positivo.
Nuovo sindaco è Lissignoli (n.4), che si trova subito a fronteggiare la recrudescenza del terrorismo brigatista. Il Belvedere non esita, a maggio, a parlare di “Criminale violenza” di “frange estremistiche”: “bande di delinquenti”; e anche Lissignoli si esprime in un comunicato di equilibrata fermezza. Anche la Comica Finale di Billò ride agre al proposito: quando diverranno di moda a Mondovì, quasi si rassicura, ormai saranno fuori moda a livello nazionale, e così al mio funerale non ci sarà nemmeno il telegramma di partecipazione accorata del PCI. Graffitari dallo spray rosso imbrattano la sede DC, trasformandola in PCI; sotto la targa del Belvedere, a Mondovì Piazza, si aggiunge un “fascisti”, con probabile, ingiusto riferimento al giornale in questione.
Sotto il profilo culturale, si parla di Vittorio Messori venuto a Mondovì a presentare le sue “Ipotesi su Gesù” (n.2), con cui si avvia una nuova stagione apologetica; ma apprezzamenti vanno anche al Gesù di Zeffirelli e al “Mistero Buffo” di Dario Fo (n.5), percepiti comunque come l’espressione di un fermento e di un fervore religioso.
Dura condanna, invece, per un gruppo di “fannulloni” al carnevale, travestiti da preti e suore, con tanto di croci e aspersori di coriandoli (n.3).
A ottobre però Martinetti, ormai più libero dalla prospettiva di sindaco, scrive un articolo critico, “Riappropriamoci della nostra bella libertà cristiana”, in cui segnala la necessità di un colpo d’ali del Belvedere, appiattitosi troppo sulla pura cronaca amministrativa (problema di cui, egli ammette, lui è in primis parte del problema). Certo, la coincidenza – inevitabile, in una città di 20.000 abitanti – tra gruppo amministrativo e gruppo “culturale” ha portato a questa sovrapposizione, che però ora bisognerà cercare di ovviare.
Si apre un dibattito interno, con interventi di tutti i nomi storici della rivista. Giorgio Tino insiste per andare avanti, citando Giovanni Testori contro il doppio rischio di un “conformismo culturale” a sinistra, e di un “conformismo economico” a destra, schema dominante nei giornali laici del periodo.
1978. Punti d’incontro.
Nel 1978 così viene creato il Punto d’Incontro, una pagina “giovanile” all’interno della rivista. Si parla di Servizio Civile, si riportano i verbali di assemblea studentesca. Si svolgono indagini sui vari sport, citando anche discipline relativamente esotiche, per il monregalese, come il Karate e le varie arti marziali. Un ampio servizio tratta anche delle scritte sui muri, sempre più frequenti. A volte ironiche: “Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento tanto bene”, dice un graffitaro con Woody Allen, a volte minacciose: “Sparire o sparare” intima un’altra. Più dure degli scarabocchi della Tazza di The, insomma.
Si parla anche di droga, nuovamente, anche con un incontro con Don Ciotti, che tornerà a più riprese, negli anni seguenti, in città. Si riflette sul decennale del ’68, su cui Tino assume una posizione critica: “Il diritto allo studio è diventato diritto al diploma o alla laurea”.
A fianco dell’inserto giovanile si crea anche un inserto, l’Empiura, dedicato alla letteratura in Piemontese, che accompagna con ricchezza di interventi la riscoperta delle lingue locali che si celebra in questo periodo.
1979. Nasce il Bertola.
Si documenta anche molto, tra 1978 e 1979, la nascita al Borgato di un nuovo spazio, il Cine-Teatro “Dino Bertola”, che può venire ad essere un nuovo e più moderno “cinema cattolico”, a fianco del tradizionale Ferrini.
Insomma, il Belvedere cerca in vari modi di darsi quell’auspicato “colpo d’ala” e tornare ad essere una voce “scomoda”, quasi l’espressione di una nuova controcultura cristiana. Il tentativo, però, avrà un successo forse solo parziale. La vita del Belvedere sarà ancora lunga, attraversando tutti gli anni ’80 e parte dei ’90, ma non riuscirà a integrare nuovi autori nel gruppo redazionale, fino alla chiusura con la fine dell’esperienza della DC monregalese e italiana, a cui il Belvedere si dimostrerà così, inevitabilmente, strettamente legato.