LORENZO BARBERIS
Si è inaugurata sabato 7 giugno 2014, presso la classica sede espositiva dell’Antico Palazzo di Città di Mondovì, la mostra di uno storico nome del “Pantheon del nostro territorio”, come ricorda il Sindaco Stefano Ghiglione sul piccolo catalogo realizzato: Francesco Russo, detto Burot.
La mostra è intitolata “Il bosco delle fiabe”, con riferimento alle figure appunto fantastiche e fiabesche che popolano la foresta dell’immaginario burotiano.
La mostra è organizzata, oltre che dalla città di Mondovì, ospite dell’esposizione, dall’associazione nata in memoria di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, che assume come proprio simbolo l’arma gentilizia dell’insigne personaggio.
Impegnata su molti ambiti sociali, inclusa la “memoria della Resistenza”, tema caro anche all’autore, l’associazione consente così alla cittadinanza di apprezzare la nuova produzione dell’autore inserita in un percorso storico che ne fa cogliere l’evoluzione.
Francesco Russo, in arte “Burot”, è nato a Carrù 1’8 gennaio 1945. Negli anni giovanili frequenta lo studio del maestro valdostano Italo Mus. In seguito si lega ad Eso Peluzzi, e successivamente ancora al maestro francese Max Dissar. L’esordio pittorico avviene a vent’anni, nel 1965, con la partecipazione al primo concorso di pittura carrucese “Trofeo Pippo Vacchetti”, in cui risulta premiato. Nel 1969 è premiato alla quarta triennale pittorica di Vicchio, paese natale di Giotto; espone anche in personale a Mondovì, all’ Aragno.
Nel 1970 è a Firenze e Nizza, e nel corso di tutti gli anni ’70 realizza numerose presenze in personali e collettive sul territorio italiano e francese, con puntate fra le altre a Genova, Pavia, Montecarlo. Tale attività prosegue e si intensifica nel corso degli ’80, con presenze a Lione, Torino, Ginevra, La Salle e Lipsia, oltre ovviamente ai numerosi appuntamenti sulla scena dei dintorni monregalesi.
La mostra documenta ampiamente tali esordi figurativi, che hanno avuto esiti di grande robustezza compositiva come nell’esempio che si propone sopra. Alla figurazione pittorica si associa anche quella scultorea, con forme parimenti eleganti e solide.
Nel 1984 vi è un approdo definitivo alle forme dell’astrazione (Giovanni Griseri), protagoniste nel 1990 dell’importante retrospettiva sulla decade degli Ottanta presso il Palazzo della Provincia a Cuneo. Si tratta di forme puntute, cuspidi curvilinee riprodotte in pittura, in scultura e anche in bassorilievi tenuemente colorati, affini alla forma pittorica.
Gli anni ’90 e 2000 vedono una ulteriore evoluzione verso forme che ripescano dalla tradizione surreale, con un recupero quindi della figurazione, ma unita a un nuovo tratto di sintesi. La svolta è testimoniata nelle presenze alle collettive degli artisti italo-francesi a Ventimiglia e in Francia, e alla collaborazione al Laboratorio di Scultura della Borsarella di Mondovì. L’impegno internazionale più recente, del 2005, è la partecipazione alla mostra dell’Arte della Pace in Serbia, intitolata a Sant’Anastasia di Sirmio.
Anche qui, la nuova scelta surreale appare nelle varie forme percorse dall’autore: la pittura, dove sono innegabili anche influssi cubisti (e qui, a Mondovì, viene in mente il nome altissimo di Ego Bianchi, mediatore qui da noi di queste sensibilità), ma anche surreali: e se il Pierrot è picassiano nelle forme e nel tema, l’associarlo a un cesto di funghi, oltre che coloritura locale, è un elemento dissonante rispetto alla figurazione convenzionale, e quindi surreale.
La scultura, nell’essenzialità di forme, si presta ancor più a una astrazione “figurativa” di stampo a grandi linee cubista, sfruttando come è usuale le venature materiche della pietra adottata.
Col tempo, la matrice cubista diviene meno evidente, e invece si accentua il valore surreale dei temi, spesso intrisi di un afflato mistico (anche qui, la mente corre ad Ego Bianchi), come in questo distico formato dall’albero della vita e dal crocifisso, sotto gli occhi vigili delle lune e dei soli, nonché del Divino figurato come occhio onniveggente nel triangolo.
Un’altra evoluzione, più o meno parallela, forse lievemente successiva, è quella verso forme più giocose, dove incide molto la presenza del Gallo, figura tradizionale della ceramica monregalese (con cui anche Burot si è a più riprese cimentato), che viene qui reinterpretato in chiave stilisticamente sintetica e giocosa, in dipinti e sculture colorate che fanno irrompere uno spirito surreale anche nell’arte plastica dell’autore.
Si giunge così alle figure di questo attuale bosco delle fiabe, sculture in gesso di un bianco classico, ma surreali nelle forme e nei temi, come questo bafometto che si è deciso di evidenziare, qui e nel manifesto della mostra.
“Magiche creature, ninfe, elfi, gnomi”, realizzate in materiali poveri, che a Remigio Bertolino, che ne scrive sul catalogo, ricordano talvolta il taglio di Modigliani, ma inserito in un “coté surrealista” ricco di visioni inconsce ammantate però di “un’aura di classico splendore”.
(le foto delle opere in mostra, autorizzate, sono dell’autore dell’articolo)