Gabriel Impaglione: la poesia è il respiro che ci spiega

gabriel sassari fac ppp

Breve biografia.
Gabriel Impaglione è nato a Villa Sarmiento, Morón, Provincia di Buenos Aires, Argentina. (15 gennaio 1958). Poeta, giornalista e narratore. Sposato con Giovanna Mulas scrittrice.
Residente a Lanusei, Sardegna.
Impaglione è Direttore della rivista internazionale di poesia “Isla Negra”, socio fondatore e membro del Comitato Esecutivo del Movimento Mondiale della Poesia, co-fondatore del Festival Internazionale di Poesia “Parola nel mondo”.
 
Quando e come si è avvicinato alla poesia?
Mi applico alla poesia da sempre, dalle mie prime letture.
Non esiste un quando né un perché, forse uno stimolo particolare è stato dato dalla mia famiglia di origine. Ricordo degli anni ’60, legati alla mia infanzia, i fumetti, le riviste infantili, i libri di racconti e poesia. Ma è nell’adolescenza che accade, quando comincia a prendere una tangibile dimensione l’universo poesia, il nuovo incontro con quei poeti passati troppo presto tra le mie mani. Neruda, Machado, Hernández, Alberti, Raúl González Tuñón, Alfonsina Storni, qualche nome francese, i classici spagnoli…: quindi seguirono altre scoperte, cominciarono a diventare più chiare le pagine, ad acquistare un senso.
In questo modo sono entrato nella poesia con occhi nuovi, con nuovi elementi per continuare a marciare verso quella profondità infinita. Dopo, la vita fu maestra: la poesia acquisisce più significati, rivela. Da bambino alternavo (come tutti i bambini) il disegno all’espressione poetica tramite ambiziosi versi che ignoravano tutto, credevano tutto  e cercavano tutto, forse senza trovare troppo.
Archiviavo con molta cura su quaderni scolastici i miei scritti, che leggevamo con gli amici di siesta e calcio nel terreno vicino casa, o durante le sere mangiando mandarini e progettando di girare il mondo. Sono entrato nell’adolescenza mentre vivevo in un rione di operai, emigrati europei e sudamericani, nell’ovest del Gran Buenos Aires, nel cordón urbano che circonda la capitale della mia Argentina. Già a trenta km dal centro porteño si è troppo vicini eppure troppo lontani, per un bambino, dall’universo labirintico della città. Il calcio di quartiere, gli amici di uno o dell’altro vicinato, mi portarono a vagabondare quindi a conoscere la dignità, i sacrifici e le sofferenze di altre comunità, i perché di una realtà che mi ha segnato profondamente. Qui apparve ancora una volta la poesia per aiutarmi ad aprire gli occhi, per dire ciò che non si dice perché…
Posso dire che questo fu un momento di forte impatto della mia relazione con la poesia.
Da quando ho memoria – salvo qualche altro breve periodo, fino al 1983 – in Argentina c’erano state dittature. Con le dittature accadono eventi orribili dei quali si viene a conoscenza sempre dopo.
Ulteriori cose bestiali che al momento non si notano, ma in grado di lasciare, nelle genti, un’eredità terribile. La censura è una di queste.
I giornali, la tv, i libri non raccontavano né la storia né il presente: distorcevano, omettevano, spezzavano fino a far scomparire la realtà. Le dittature sono un mezzo attraverso il quale gli attori mondiali dell’Ordine Unico giocano a stabilire i loro interessi. In America Latina le dittature sono servite per eseguire piani di sterminio di oppositori di sinistra (in nome del capriccio della guerra fredda) e rendere come bestie i popoli, garantendo all’imperialismo lo sfruttamento dei lavoratori e la ricchezza di ogni paese. La censura è la parte ‘visibile’ della distruzione dell’universo lettore e pensante; obiettivo centrale per la dominazione dei popoli.
Quando sono  svuotati d’identità e cultura, i popoli perdono la loro libertà.
In un certo qual modo questo obiettivo non è poi troppo distante dalle esperienze di altre società; mettendo ovviamente da parte la violenza e la “sparizione” di persone in Sudamerica, per esempio, un certo liquore narcotizzante col quale il popolo italiano si è nutrito in questi ultimi tre decenni ha raggiunto risultati simili ai nostri.
Durante la mia adolescenza sono quindi stati i libri di poesia che mi davano segnali inequivocabili su tutto ciò che sperimentavo nella mia crescita. Ricordo che non avevo ancora quindici anni quando scoprii Elvio Romero, il grande poeta paraguayano che viveva esiliato dalla dittatura del suo paese in Buenos Aires. Lessi i suoi Dias Roturados, una bella silloge di tono sociale dove scrive sulle ingiustizie, la miseria, le sofferenze del suo popolo.
Ciò che leggevo cominciavo a vederlo nei volti, nelle mani, nelle case misere del mio quartiere.
Fu in quel momento che capii i miei vicini paraguayani, boliviani, uruguayani, cileni, italiani, spagnoli… anche grazie a Romero. E compresi la mia famiglia, il mio paese, la vastità di luce ed ombre della mia Patriagrande, la mia America latina quasi universale.
Cominciai con occhi avidi a far funzionare la poesia nella mia vita. Presi a scrivere quotidianamente, a conservare appunti in versi che altro non erano che balbettii disordinati, trascurabili. Dettagli senza importanza. Come dice Neruda in un poema: sciocchezze.
“Nessuno chiede al passero che spieghi perché canta” (Pablo Picasso).

Attività, collaborazioni poetiche, pubblicazioni:
L’edizione della rivista di poesia ‘Isla Negra’ rappresenta forse l’attività che comporta maggior tempo dopo il lavoro di creazione poetica. Iniziata nel 2004 a Buenos Aires, continua dal 2005 in Sardegna. Dopo dieci anni ha raggiunto e superato i 400 numeri. Vanta un magnifico gruppo di collaboratori, moltiplicatori in arte che la re-inviano, la stampano e la donano a biblioteche, scuole, la distribuiscono in luoghi pubblici. La rivista pubblica anche un supplemento chiamato Navigazioni, dove i poeti latinoamericani vengono tradotti in lingua italiana. Un ponte culturale tra le Nazioni. Tramite la rivista si organizzano periodicamente speciali tematici, non solo dedicati a poeti come Neruda, Roque Dalton, Vicente Alexandre, Miguel Hernández, Armando T. Gómez, per citare qualche autore presente. Le chiamate alla poesia sono anche altre: ritratti, omaggi al paese natale, mare, difesa della natura, solidarietà contro il colpo di stato in Honduras o contro il blocco a Cuba, contro l’usurpazione colonialista del sionismo in Palestina, contro le invasioni imperialiste in Iraq.
“Isla Negra” è pubblicazione dinamica con raggio di azione mondiale, riconosciuta dai colleghi come una delle più importanti riviste di settore nella diffusione della poesia in lingua castigliana.
Grazie all’influenza su una vasta quantità di lettori abbiamo potuto costruire, durante gli ultimi anni, un Festival poetico inedito fino a quel momento nel pianeta: Il Festival Internazionale di Poesia “Palabra en el Mundo”, che ha raggiunto nelle sue otto felici edizioni migliaia di azioni poetiche in più di sessanta Nazioni; è stato fondato dai poeti Alex Pausides (Cuba), Tito Alvarado (Chile) e dal sottoscritto, con l’obiettivo di moltiplicare letture di poesia accompagnando le attività del Festival di Poesia dell’Havana, uno dei più prestigiosi al mondo.
Con un metodo autogestito e democratico, a titolo assolutamente gratuito e per il partecipante e per noi organizzatori, “Palabra en el Mundo” rappresenta oramai un vero punto di riferimento grazie alla sua originalità tra gli incontri poetici mondiali. Partecipano collettivi culturali, scuole dalle primarie fino all’università, istituzioni pubbliche e private. Municipi e province nel mondo l’hanno dichiarato d’interesse culturale pubblico. In numerose città del pianeta è diventato Festival proprio, in altre località è in via di consolidamento. Programmazioni ammirevoli per grandezza e qualità.
In ogni edizione del Festival il tema convocante è la pace; si organizza con assoluta libertà.
Collaboro con diverse pubblicazioni online e cartaceo nel mondo.
Periodicamente partecipo a letture pubbliche. Ho avuto l’onore di leggere in Argentina come in Italia, Uruguay, Brasile, Colombia, Venezuela, Spagna e Portogallo. Sono stato invitato a più riprese ai Festival di Poesia di Medellin, primo d’importanza al mondo e Premio Nobel alternativo, al Festival mondiale di Poesia di Venezuela, grazie al Governo venezuelano.
Offrire una lettura pubblica dona la possibilità d’interagire con l’altro, condividere le emozioni, l’enigma della poesia, sperimentare un feed-back che solo la parola provoca.
Pubblicazioni: Echarle Pájaros al mundo, Buenos Aires, 1994; Breviario de Cartografía Mágica, Galicia, 2002; Bagdad y otros poemas, España, 2003; Letrarios de Utópolis, México, 2004; Prensa callejera, Buenos Aires, 2004; alala, España, 2005; Carte di Sardinia, Italia, 2006; Racconti fantastici, d’amore e di morte, España, 2007, (insieme a sua moglie Giovanna Mulas); Explicaciones con mar y otros elementos, Italia, 2007; Otras Explicaciones, Italia, 2008, edizione bilingüe; Otras explicaciones, edizione in spagnolo, México, 2008; Do oficio de poeta, edizione in galiziano e spagnolo, El taller del poeta, Galicia, 2009; Medanales, crònicas y desmemorias y otros enigmas, Buenos Aires, 2009; Acca-Due-O- poesie sull’acqua,  (insieme a Marco Cinque), Italia, 2010; Parte de Guerra, Venezuela 2012; Giovannía, Venezuela, 2012; Anotaciones sobre el agua, e- book, Colombia, 2013.
Antologie: Poemas Quietos, Barcelona, 2002; Canto a un Prisionero, Canadá, 2005; El sol desmantelado, W.H. Auden revisitato, México, 2007; Memoria, verdad y Justicia a los 30 años por los treinta mil, 2007, Argentina; El mar de los poetas, Chile, 2009; SignorNo, Roma, 2009; Italiani d’altrove, Milano, 2010; El verso toma la palabra, antología di 33 poeti argentini, México, 2010; Travesías poéticas, Poeti argentini odierni, L’Harmattan, París, Francia, 2011; PoeMARio, antología poética; España, 2011;  Antología El fuego purificador del Dragón, España, 2012.
e-book: 1825, raccolta poética in formato elettrónico, Argentina, 2008; En síntesis, Lima, Perú, 2010; Anotaciones sobre el agua, Colombia, 2013.

Cos’è la poesia?
“La poesia è il respiro che ci spiega”.
Sarà questa la prima domanda che si è fatta all’umanità? Non ne sono sicuro, ma da quando l’uomo nominò la prima cosa s’irradiò la poesia, e da allora non c’è stato chi non si domandasse: «cosa è la poesia?».
Oscar Acosta, poeta di Honduras deceduto in questi giorni, scrisse che «…I mayas comparavano i loro poeti ai mugnai celesti: estraevano pazientemente dal mais dell’idioma una farina finissima: la poesia».
La poesia quindi come alimento, sostanza nutriente, prodotta dal lavoro. E la lingua, madre e testimone, presente in questo riferimento millenario sicuramente è in grado di darci anche un’altra prospettiva del popolo Maya.
Miguel de Cervantes ci dice che Sancho Panza affermò: «la poesia, signor Hidalgo, a mio parere, è come una fanciulla tenera e giovane età, e bella sotto ogni punto di vista».
Venne anche il poeta messicano Gerardo Diego nella risposta: «la poesia è linguaggio incorruttibile».
Perché incorruttibile? Perché così è la voce di un poeta?
Perché la poesia non può mentire? Perché ciò che è scritto perdura? Perché è dall’essenza dell’idioma che si esprime il poema?
Il poeta argentino Raul G. Tuñón risponde: «Se qualcuno mi domandasse: cosa è la poesia? non avrei altra alternativa che rispondere: la poesia è la poesia, più il mondo, più l’uomo, più il poeta, più la poesia. Se qualcuno mi domandasse cosa è un poema risponderei: anche il leader della cosiddetta “neutralità” ha detto che un poema che non contenga niente più che poesia non è un poema. Ho citato una frase di Valery».
Il cubano Waldo Leiva dice: «Credo nella poesia come alimento, come l’appoggio imprescindibile dell’Essere, come la via più completa per l’arricchimento umano, come la voce più profonda, la proprietaria di tutti i registri dello spirito».
Se l’amico Waldo viaggia nel suo mondo interiore per trovare parole che spiegano la poesia, il vecchio Confucio salta il confine: «La poesia ecciterà, alimenterà il pensiero, renderà capaci di usare le parole, porterà ad essere utili ai vostri genitori e al vostro sovrano».
Il maestro argentino Aldo Pellegrini dà un giro di boa ancora più energico, mettendo un limite necessario: «La poesia adempie ad un compito necessario: che questo mondo non sia solo abitabile da imbecilli».
La definizione di Pellegrini ha tanti esempi. «La poesia non È se non accompagnata dall’etica».
Per dare un esempio: oggi Israele bombarda Gaza e il risultato di questa nuova ignominia contro l’umanità si racconta attraverso i morti, i feriti, gli amputati, orfani, vedove, rovine, angoscia.
Non solo nelle corse degli israeliani verso i rifugi, davanti alla possibile caduta di un missile costruito in casa palestina (come mostrano i TG della Nato attraverso certi casti registri visivi) si esprime questo conflitto il quale, senza eufemismi, potrà essere definito usurpazione. La poesia parlerà della resistenza palestinese che tenta di recuperare il proprio territorio occupato dai sionisti. La poesia punterà ai responsabili del genocidio.
La poesia farà la sua giustizia incorruttibile.
Gli imbecilli che credono nelle lacrime degli usurpatori non avranno l’esclusiva in questo pianeta.
Il grande poeta cileno Vincente Huidobro ci avverte: «Il maggior nemico del poema è la poesia», perché la poesia indicherà il percorso della scrittura e quando il poema vorrà scrivere «gatto, fiore, rosa pallido» la poesia scriverà «gli usurpatori massacrano in nome dell’ingiustizia».
Cosa è la poesia?
Un atto a volte meditato, altre volte irresponsabile, che cerca di toccare il mistero.
Il grande poeta venezuelano Gustavo Pereira dice: «Scrivere un poema come si costruisce l’incantesimo / scrivere un poema come un acido».
Dopo aver sfiorato il mistero credo che non rimangano altre alternative alla citazione del fratello Gustavo. Si farà incanto la poesia nel suo fulgore, e nel suo fulgore sarà l’armonia o l’acido che corrode, penetra le corazze dell’oscuro fino a portare la luce dove la luce è necessaria.
 
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Il poeta con Giovanna Mulas

Il poeta con Giovanna Mulas

Poetica

Faccio scendere dal silenzio le parole
come frutti
che non hanno nome.

***

Aprile

La pioggia è un atto di magia
Muta in specchi quello che tocca
Ci trasforma in esseri di vetro
Ombre fugaci che cercano rifugio
Sotto piccole nuvole nere.

***

Ho lasciato per dopo qualche parola

Ho lasciato per dopo qualche parola
e soprattutto un lungo silenzio
che adesso solo mi brucia le mani
Desidero parlare e niente più dopo tacere
Zittire con tutta la bocca e con il corpo
Guardarmi le mani mute e perdere lo sguardo poi
su qualunque posto
dove non si trovino venditori offrendo discorsi
se non un spazio infinito che non abbia risposte
Desidero parlare dire sottolineare certe parole
perché non è vero che non si capisca l’impazienza
che parla in un’altra lingua che non fa volare pietre
dalle mani né sputa fuoco né si dispone
negli angoli propizi dell‘ora per dare il salto
decisivo
Non è vero che l’impazienza non si capisce
L’ascolto enumerare le ragioni dell’urlo
Evidenzia con la sua lampada i segnali della fame
Quei tagli di freddo nel tremore silente
Desidero parlare ripetere oltre ogni limite
certe parole parole certe luminose
come la parola rivoluzione Dirla assaporarla
come un vino alzarla al vento lanciarla
verso tutti i sensi perché non è vero che non si
capisce la parola rivoluzione
Lei nomina le cose con la semplicità di un bambino
Porta sulle sue dieci lettere la memoria dell’uomo
Desidero parlare puntare sul cuore del vuoto del secolo
la parola Libertà puntarla come uno stormo esatto
di passeri frecce di passeri spada
Raffica di canto collettivo con torcia e chitarra
Uno schizzo d’acqua pura sull’ infinito
Perché non è vero che non si capisce
Libertà
L’ascolto nel mercato e nella fabbrica
sulle piccole vie che non portano a nulla
nell’astio che stermina la gemma che ci manca
Desidero parlare prendere la parola occuparla
Imbandierare la parola
dire che è necessario abitarla
perché lei è una casa con il tavolo esteso
Perché per capire la rosa dobbiamo nominarla
Dirla ai camminatori e nelle assemblee
Scriverla sui muri e sull’aria tingere le marce
con il suo nome le camicie i pugni gli sguardi
i martelli che abbatteranno le fortezze dell’infamia
Desidero parlare armare la parola fucilare l’eufemismo
perché lei spiega il basta
ci spiega con il basta in bocca
Ho lasciato per dopo certe parole
e soprattutto un lungo silenzio
Un silenzio di stanchezze
Un silenzio di campo di battaglia travolto nel fumo dell’oblio
dove finirono ragioni e lamenti
Un silenzio d’andare in attesa della pioggia
Senza la colpa d’essere stato indifferente senza la crosta
ipocrita di chi passa senza guardare
senza gli occhi torbidi degl’inventori d’artifici
Un silenzio dove scorre un vento di papaveri
che convoca davanti ogni finestra
Un silenzio
dove la parola affili i suoi bordi per assaltare il giorno.

***

Poetica

Zappava pablos federicos nella sua bocca
spingevano per uscire roques robertos
sudava vladimires
intanto per i solchi
correva vento eugenio di seme

e lui diceva:
non so niente di poesia

***

Dove finisci

Su quale ignoto palmo un confine
Annuncia un po’ di riva
Per fare una mappa di te
Per sapere
Dove la mia mano sorvola
Non so che profondità
Che chiude i tuoi occhi

***

Senza prossimo né adesso Forse solo routine
in fuga
Transumante
chi ritorna dal nulla senza coscienza

Chi ha perso la sua ombra nel silenzio
Chi ha lasciato cadere un pezzo di fame
Dalla bocca

senza rivelarsi.

***

Testimonianze

Quello che nella notte accade:
fuochi addormentati che si svegliano
nel palpebrare delle bestie,
traversie di fantasmi
che agitano il latrato e le serrande,
le piccole creature della rugiada,
scritture dell’amore sull’ora,
distanze impilate nel bordo di altri mondi,
parole perdute che trovano casa,
gli orfani del cielo nella propria malinconia

tutto

raccontano i passeri all’alba.

***

Orto

Il ciliegio nel suo fulgore silente
e le rane credono sia la luna.

***

Ce la faremo

Con questa povertà costruiremo una nave.

***

Appello
“Se dicono patria / qui sono quelli che fanno musica dal fango”.
(Pedro Calzadilla)

Da ogni tuono e per il filo del tempo
e le penurie
Da ogni onda e sulla neve delle saline
o le pietre d’acqua delle cime
Sotto la gran costellazione del Sud in fiamme
Dal galoppo del vento tra i polveroni
e per i sentieri delle capre
Tra l’ erba che alza l’allegria come fiore silvestre
e la tenerezza che i primi voli tessono nell’aria
Da ogni casa dove la luna allatta l’insonnia
Dalla macchina inutile e i parchi recintati
Da ogni fiume di sole tra i salici
o per le strade che conducevano al pranzo
Da ogni palmo di fango dove il canto
partorisce l’uomo
arriveremo con la parola libertà nella bocca.

***

Portavi una musica nei capelli

Portavi una musica nei capelli
e ti guardavo
come una meraviglia che attraversa da una punta
all’altra l’angolo della sera

senza parola
appena con me stesso immobile ti guardavo

che poteva importarmi la ragione dell’eclissi
Marx una traduzione di Quasimodo il vento
perso nel fogliame

venivi con quella musica nei capelli
e attorno non so non seppi non m’importava
se dondolava il tempo.

(Traduzione di Giovanna Mulas)
© Gabriel Impaglione