ATTILIO IANNIELLO
Nella storia a volte si verificano degli eventi che assumono una valenza simbolica tale da diventare un unicum a cui guardano non solamente gli storici ma anche gli artisti e le persone comuni. Nell’ambito giuridico la vicenda di Nicola Sacco e di Bartolomeo Vanzetti è senza dubbio un esempio di quanto affermato in precedenza.
Negli Stati Uniti d’America il caso dei due anarchici di origine italiana ebbe una risonanza internazionale pari a quella dell’affaire Dreyfus in Europa.
Nicola Sacco, nato a Torremaggiore nel Foggiano il 27 aprile del 1891, e Bartolomeo Vanzetti, nato a Villafalletto nel Cuneese l’11 giugno del 1888, emigrano negli USA per cercare dignità e libertà. Qui hanno occasione di conoscersi e di diventare amici. Entrambi militanti anarchici vengono arrestati il 5 maggio 1920 con l’accusa per Vanzetti di aver partecipato alla fallita rapina a Bridgewater del 24 dicembre 1919 al furgone che trasportava le paghe dei lavoratori del calzaturificio L. Q. White Shoe Co., e alla rapina avvenuta il 16 aprile 1920 nel corso della quale Frederick A. Parmenter, agente pagatore, e Alessandro Berardelli, guardia giurata, che portavano le paghe agli operai di due fabbriche, vennero brutalmente uccisi. Poiché Nicola Sacco il 24 dicembre nell’ora della rapina era sul luogo di lavoro, venne formalmente accusato solamente della seconda rapina e dei relativi omicidi.
Iniziava così un processo che, nonostante le incongruenze giuridiche, le testimonianze a favore dei due accusati, la loro appassionata autodifesa e dichiarazione d’innocenza, fin dalle prime udienze si manifestava apertamente deciso a condannare gli imputati a causa delle loro idee politiche, del loro ceto sociale e del loro essere immigrati.
Proprio questa posizione pregiudiziale di chi giudicava i due anarchici mobilitava non solamente i compagni di Sacco e Vanzetti ma molti lavoratori, semplici cittadini e intellettuali [1].
La condanna a morte arrivò puntuale nel luglio del 1921 suscitando numerose proteste in America e nel mondo. Anche il Consiglio provinciale di Cuneo votava all’unanimità una richiesta al governo italiano affinché mettesse in atto tutte le vie diplomatiche per salvare la vita a Bartolomeo Vanzetti [2].
Quando nell’agosto del 1927, dopo sei anni dalla condanna, si diffuse la notizia dell’imminente esecuzione dei due anarchici, immediate furono le manifestazioni di protesta in tutto il mondo. Liberali, democratici, socialisti e comunisti, oltre ovviamente gli anarchici, manifestavano chiedendo a gran voce di salvare la vita ai due condannati.
Anche in Italia, paese in cui ormai si era affermata la dittatura fascista, la notizia dell’esecuzione suscitò indignazione.
Su “La Stampa” del 5 agosto 1927 si dava la notizia in prima pagina dell’approssimarsi dell’esecuzione con un titolo che recitava “Tenuti sei anni in agonia s’apre a Sacco e Vanzetti la tomba per il 10 agosto” (poi l’esecuzione verrà rimandata di qualche giorno); inoltre ricordava ai lettori per sommi capi tutta la vicenda in un altro articolo in cui, fra l’altro, venivano ricordate le ultime parole di Sacco e Vanzetti dopo che il giudice lesse la sentenza di morte per sedia elettrica: «Si alza per il primo Sacco. Guarda fisso il magistrato e parla l’inglese con difficoltà. Tuttavia riesce a farsi comprendere. “Parlo assai poco l’inglese – dice – perciò meglio di me dirà il mio compagno. So che il Paese è suddiviso in due classi, i ricchi e i poveri. Voi perseguitate il popolo, lo terrorizzate, lo uccidete. Noi invece abbiamo di mira l’educazione del popolo. Ecco perché oggi siamo qui. E voi, giudice, sapete perché io muoio. Lo sapevate ieri, lo sapete oggi, lo saprete domani e per sempre che non sono colpevole. Vedo nel pubblico amici e compagni. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per noi da sette anni”. Parla quindi Vanzetti, anch’egli in inglese e un po’ meglio di Sacco: “Giudice Thayler, nella mia vita non ho mai ucciso, né rubato, né versato sangue. Ho sempre lottato per la soppressione del delitto. Posso vivere onestamente. Ho due braccia robuste (le protende verso il giudice); la mia famiglia è in Italia. Era agiata e mi avrebbe sempre aiutato. Non ho mai commesso delitti in vita mia. Noi fummo condannati perché vi erano pregiudizi contro di noi, contro le nostre idee politiche, contro il nostro partito. Fui arrestato perché sono un estremista e perché sono italiano. Ma siamo innocenti e moriremo innocenti. Tutti coloro che nel mondo pensano, ci ritengono condannati ingiustamente. È impossibile che pochi giurati siano nel vero e il resto del mondo sbagli. Voi giudice vedete bene che non tremo proclamando la mia, la nostra innocenza. Vedete che senza cambiar colore, senza vergogna posso guardarvi negli occhi. Nessun giudice sulla terra poteva essere peggiore contro di noi di quel che voi vi siete mostrato. Riaffermo dinanzi al mondo l’innocenza mia e quella di Sacco”». [3]
L’esecuzione avvenne nelle prime ore del 23 agosto 1927. Negli istanti immediatamente prima che l’elettricità li fulminasse Sacco gridò «Viva l’anarchia» e Vanzetti ribadì: «Voi ammazzate un innocente». [4]
In questo breve scritto vogliamo porre l’attenzione in particolare su Bartolomeo Vanzetti, Tumlin per gli amici e i parenti di Villafalletto, cittadina non troppo distante da dove vive chi scrive. I quotidiani piemontesi e i periodici della provincia di Cuneo nel 1927 diedero un certo risalto alla vicenda del compatriota ucciso sulla sedia elettrica.
“La Stampa”, per esempio, pubblicò una lunga intervista allo scultore Dino Somà, amico d’infanzia di Bartolomeo, il quale oltre a ribadire che tutti gli abitanti di Villafalletto erano convinti dell’innocenza del loro compaesano, si soffermava a parlare di Luigina, sorella del condannato a morte: «È questo il punto più commovente, al di qua dell’oceano, del dramma americano. Pensate, dunque: Luigina Vanzetti, timida, pia, schiva da ogni clamore, che si può dire non è mai andata oltre l’ombra del proprio campanile, quando sente che il fratello sta per essere forse strappato per sempre, si decide e si avventura, sola in faccia all’ignoto, con la speranza di ottenere essa ciò che non hanno potuto gli altri: strappare il fratello al carnefice. La creatura angelica si trasfigura così in umile eroina, ed eccola a Parigi trascinata nei comizi, nelle riunioni, per le vie, a servire da bandiera a quanti invocano giustizia. Un amore fraterno tanto sublime, alimentato dalla fiamma dell’intuizione femminile accesasi attraverso la lettura delle centinaia di lettere pervenutele dalla prigione di Charlestown; per me e per i miei compaesani non può essersi ingannato, appunto perché Luigina Vanzetti, ora in viaggio per l’America, ha potuto meglio di chiunque altro leggere nel profondo dell’anima del fratello. Ed è per ciò che noi riteniamo la sorella del condannato come un simbolo: il simbolo della pietà e della giustizia, che, se la civiltà ha ancora un nome, alfine dovrà trionfare». [5]
Luigina (Luisa) Vanzetti tornerà dagli Stati Uniti con le ceneri del fratello fermandosi in diverse nazioni dove verrà onorata la memoria di Bartolomeo; lascerà momentaneamente in Francia l’urna cineraria in attesa che le pratiche burocratiche permettano di trasferire le ceneri in Italia, a Villafalletto, dove lei ritorna per attenderle insieme al resto della famiglia Vanzetti.
Infine in una giornata d’autunno giunsero via ferrovia le ceneri di Vanzetti e Sacco. Mentre quelle di quest’ultimo proseguivano per Torremaggiore, quelle di Bartolomeo venivano scaricate nella piccola stazione di Villafalletto: «Il carro-bagagliaio è quindi stato aperto. La piccola cassetta vi giaceva al centro. Una cassetta umilissima, di quelle che servono per l’imballaggio delle merci e sulle pareti della quale, infatti, si leggeva il nome di una grande fabbrica francese di cioccolato. La signorina Luisa non ha potuto trattenere un singhiozzo, ma poi, subito riprendendosi, ha assistito, con una specie di doloroso e muto stupore, al trasporto della cassetta dal carro sulla tavola della sala d’aspetto. Quivi sono entrati a capo scoperto tutti i funzionari. Un manovale, fra il silenzio profondo dei presenti, ha fatto prima saltare la ceralacca che fermava il nodo della cordicella avvolgente la cassetta e recante il timbro della città di Cherbourg, quindi ha sollevato il coperchio. Tra i soliti trucioli di legno sono apparse avvolte in carta celeste e legate assieme le due urne. la signorina Vanzetti, allora, con mani tremanti ha disfatto l’involto, e senza neppure leggere il nome ha subito riconosciuta quella contenente le ceneri del fratello, che per tanto tempo si era portata con sé durante i lunghi viaggi…». [6]
Il corteo funebre che accompagnava le ceneri di Bartolomeo Vanzetti dalla stazione ferroviaria al cimitero diventava un surreale epilogo della vicenda umana e politica del villafalettese. Oltre ai propri cari non vi erano compagni ad accompagnare Bartolomeo, non vi erano le sue bandiere rosse e nere, ma funzionari, forze dell’ordine e fascisti, quelli erano i tempi:
«Il corteo, preceduto da carabinieri, è formato dall’auto che trasporta l’urna, dal fratello Ettore, dai congiunti, da largo stuolo di amici e conoscenti, tra i quali molti fascisti e il Podestà, cav. Pejrone, le sorelle Luisa e Cenzina, viene chiuso dall’auto del Questore di Cuneo e dal capitano Gattinara dei Reali Carabinieri». [7]
La memoria di quanto accadde nelle prime ore del 23 agosto 1927 nella stanza delle esecuzioni tramite corrente elettrica non veniva mai meno; canzoni, film, libri ricordavano l’innocenza di Sacco e Vanzetti in America, in Europa, in Italia. Nella metà degli anni Settanta in Italia si costituiva un Comitato, promosso tra gli altri da Umberto Terracini e Pietro Nenni, per la riabilitazione dei due anarchici. Una mobilitazione internazionale portava il governatore del Massachussetts, Dukakis, a riconoscere ufficialmente l’errore giudiziario il 19 luglio 1977 e a dichiarare il 23 agosto 1977 “giorno commemorativo di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”.
Nel corso dell’estate 1977 anche in Italia si ricordavano i due anarchici giustiziati ingiustamente e la loro vicenda portava un ulteriore mattone all’edificazione di una città dell’uomo priva di pene di morte e di ingiustizie.
Questo ribadiva nel luglio di quell’anno nella sede della Regione Piemonte Vincenzina Vanzetti, sorella di Bartolomeo, che dopo la morte di Luigina nel 1950 aveva proseguito in prima persona a promuovere il riconoscimento dell’innocenza del fratello:
«Ciò che io spero è che mai più accada che il mondo per progredire abbia bisogno di martiri. Mio fratello Bartolomeo nella sua ultima lettera scriveva: “Non è più lontano il giorno nel quale vi sarà un pane per ogni bocca, un letto per ogni testa, felicità per ogni cuore”. Vi auguro di poter lavorare per affrettare quel giorno». [8]
Nell’estate 1977 vi furono molte manifestazioni per ricordare Sacco e Vanzetti. Anche a Villafalletto si celebrava il riconoscimento dell’innocenza dei due anarchici. Il 4 settembre Umberto Terracini scopriva una lapide commemorativa sulla casa natale di Bartolomeo Vanzetti. Contemporaneamente nella piazza principale del paese un gruppo di anarchici scoprivano a loro volta un’altra lapide per ricordare i loro due compagni. [9]
Chissà se passando per Villafalletto anche le nuove generazioni sentiranno nell’aria le note di The Ballad of Sacco and Vanzetti (testi di Joan Baez e musica di Ennio Morricone)…
«With me I have my love, my innocence,/The workers, and the poor/For all of this I’m safe and strong/And hope is mine/Rebellion, revolution don’t need dollars/They need this instead/Imagination, suffering, light and love/And care for every human being/You never steal, you never kill/You are a part of hope and life/The revolution goes from man to man/And heart to heart/And I sense when I look at the stars/That we are children of life/Death is small» [10]
(Originariamente pubblicato il 23 agosto 2014)
Note
Per un inquadramento storico e umano della vicenda di Sacco e Vanzetti si veda Tibaldo Lorenzo, Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Torino, 2008.
[1] Cfr. Vanderveer Hamilton Carol, American Writers and the Sacco-Vanzetti Case, in http://www.english.illinois.edu/maps/poets/m_r/millay/hamilton.htm
[2] Deputazione provinciale di Cuneo, 12 agosto 1921, Archivio di Stato, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, busta 642, fascicolo 15/3.
[3] L’inaudita vicenda giudiziaria, in “La Stampa” del 5 agosto 1927.
[4] I particolari sulla morte di Sacco e Vanzetti, in “Sentinella delle Alpi. Quotidiano politico , Organo della Federazione Fascista, delle Federazioni Sindacali e della Federazione degli Enti autarchici della Provincia di Cuneo” del 24 agosto 1927.
[5] L’innocenza di Vanzetti, in “La Stampa” del 14 agosto 1927.
[6] Le ceneri di Vanzetti a Villafalletto, in “La Stampa” del 15 ottobre 1927.
[7] Le ceneri di Vanzetti al cimitero natio, in “Sentinella delle Alpi” del 15 ottobre 1927.
[8] Vincenzina Vanzetti ricorda il grande sogno del fratello, in “La Stampa” del 26 luglio 1977.
[9] Finalmente Villafalletto ricorda Sacco e Vanzetti, in “Stampa Sera” del 5 settembre 1977.
[10] «Ho il mio amore con me, la mia innocenza,/I lavoratori e i poveri/Per tutto questo mi sento al sicuro e forte/E mia è la speranza/La ribellione, la rivoluzione non hanno bisogno di dollari/Hanno bisogno di questo invece/Immaginazione, sofferenza, luce e amore/E interesse verso ogni essere umano/Non rubare mai, non uccidere/Sei una parte della speranza e della vita/La rivoluzione passa da uomo a uomo/E da cuore a cuore/Ed io sento quando guardo le stelle /Che siamo i figli della vita/La morte è piccola.