LORENZO BARBERIS.
“Le stanze segrete delle montagne” è un interessante romanzo, uscito nel 2012 per Primalpe, la cui ambientazione si divide tra Mondovì e le sue Alpi. L’autore, Renzo Dirienzi (qui il suo bel sito), appassionato di montagna, ha fornito una lettura originale della zona, un thriller con elementi fantascientifici che ci ha interessato. Abbiamo quindi pensato di porgli qualche domanda sulla sua opera, per introdurla ai lettori di “Margutte”, e di proporvi l’incipit dell’opera come assaggio della sua produzione…
Margutte
“Le stanze segrete delle montagne” nasce, si intuisce, da una sua passione per la montagna. Com’è nata l’idea di trasporre questa passione in una chiave narrativa?
Prima di questo romanzo, sempre con Primalpe, avevo scritto “Le Nevi del Marguareis”, una dettagliata guida scialpinistica della Valle Pesio. Un libro che per la sua natura doveva tendere il più possibile alla chiarezza, alla precisione e all’oggettività, mentre le emozioni e la fantasia dovevano rimanere ai margini, anche se, in realtà, le motivazioni che spingono alla frequentazione della montagna sono quasi sempre di tipo emotivo. Con il romanzo, quindi, l’intenzione primaria era quella di esprimere in narrativa le sensazioni e le emozioni dello scialpinismo, che non ho potuto inserire nel primo libro. A mio parere lo scialpinismo è la modalità più suggestiva e dilettevole per visitare la montagna: alla fatica della salita, lungo una linea il più possibile logica ed elegante, segue il divertimento della discesa in neve fresca, attraverso paesaggi di grande fascino, grazie anche alle luci oblique ed ai cieli tersi delle stagioni fredde. Gli scrittori di montagna finora hanno dedicato pochissima attenzione allo scialpinismo, concentrandosi quasi esclusivamente su opere memorialistiche rivolte all’alpinismo classico, con tematiche convenzionali come la “lotta con l’Alpe” e la retorica delle scalate, fino all’immancabile incidente ed alla “montagna assassina”. Altri autori invece insistono sulla presunta superiorità morale del mondo della montagna e dei suoi abitanti nei confronti di una pianura corrotta ed avvelenata. Questo tipo di argomenti non mi appartengono, ed ho preferito costruire un racconto un pochino più insolito, ambientato in montagna, con gli sci ai piedi, ma aperto a tematiche “di genere” con elementi thriller in un’atmosfera “ai confini della realtà”, dove l’esoterismo e la fantascienza diventano mondi possibili.
C’è un qualche motivo particolare per scegliere come cornice narrativa le defilate Alpi monregalesi, al di là dell’ovvio elemento di vicinanza geografica?
Frequento assiduamente le Alpi Monregalesi non solo per motivi di vicinanza geografica, ma per scelta personale, attratto dalla particolare bellezza dei luoghi (un tempo la piccola catena del Marguareis era soprannominata le “Dolomiti del Piemonte”). In inverno, l’ambiente naturale, a tratti ruvido, seleziona un po’ gli accessi ed obbliga ad uno scialpinismo più autentico, lontano dai canoni modaioli del “fuori pista”. Nel romanzo “Le stanze segrete delle montagne” le descrizioni di paesaggio sono frequenti ed in qualche modo, attraverso una leggera suspense, introducono gli sviluppi futuri della vicenda. In questo libro, in particolare, si propone un’interpretazione non convenzionale di uno “strano evento”, ancor oggi avvolto nel mistero, che secondo alcuni coinvolse proprio queste zone negli Anni Settanta.
Anche Mondovì, oltre alle sue Alpi, ha un ruolo abbastanza centrale, almeno come sfondo di alcuni snodi della vicenda.
Certo, Mondovì è la città di riferimento delle cosiddette Alpi Liguri o Marittime Orientali, sia dal punto di vista storico e culturale, sia dal punto di vista alpinistico. Erano monregalesi i primi alpinisti che hanno esplorato con sistematicità le grandi pareti dolomitiche del Marguareis, mentre invece gli amici cuneesi storicamente sono rivolti verso la Valle Gesso e il Massiccio dell’Argentera. Poiché la vicenda del romanzo doveva svolgersi non solo in alta quota ma in parte anche in un contesto urbano, non potevo che scegliere Mondovì, che tra l’altro è una delle città più suggestive del Piemonte, nonché, forse, la sua capitale mancata.
La trama, per un’opera di ambientazione monregalese, è indubbiamente singolare. Perché la scelta di questo filone “misterioso”, a parte l’aggancio dell’Incidente del ’75?
Mi fa piacere che la trama sia valutata come “singolare”. L’aggettivo “singolare” è sinonimo di unico e di particolare, più genericamente spesso si intende come “diverso dal solito”, e questo è un complimento speciale per un romanzo. Mondovì è una città affascinante, con una sottile forza di attrazione ed una storia antica che si confonde nella leggenda (pensiamo ad esempio alla mitica figura del “Moro”). Da lontano, la città vecchia svetta elegante e ieratica nelle sue tonalità rosso mattone ed ocra gialla, con grandi palazzate, chiese sproporzionate e torri merlate. Nel romanzo, il cosiddetto filone “oscuro” di Mondovì tuttavia viene appena evocato, con il richiamo di alcuni elementi “simbolo”: le esigenze narrative non consentivano un’indagine più approfondita né una “svolta” esoterica della storia. L’atmosfera un po’ misteriosa di certi luoghi monregalesi è comunque un dato reale, non un’invenzione letteraria.
Come tipico di ogni “weird tales”, sull’opera aleggiano molti non-detti, specialmente forse l’ambiguo personaggio di Liviana. Vuole approfittare di quest’intervista per svelare qualche retroscena del processo di scrittura?
Rispetto alla vicenda narrata, la figura di Liviana Ponente entra in scena in un secondo tempo, come una dark lady gelida ed insensibile. La sua importanza cresce con il progredire della storia, ma non viene mai completamente svelata. Può rappresentare l’inconoscibile, il mistero, un po’ come il famoso monolite nero in “2001: odissea dello spazio” di Kubrick. Sinceramente, spero di non incontrarla mai, ma ultimamente, durante le mie escursioni scialpinistiche in solitaria, qualche volta mi sembra di sentire la sua presenza, o quella degli altri personaggi del romanzo, come se mi accompagnassero per un tratto…
Allora non resta che lasciarci con l’Incipit dell’opera…
“Quella mattina l’aurora faceva vedere tonalità più intense del solito. i primi raggi del sole sfioravano le cime del Marguareis e da pochi minuti la vetta si era accesa come brace ardente. Il confine della luce attraversava il bordo del cielo con una linea netta: solo le creste più alte ne oltrepassavano il limite, e rassomigliavano ad arcipelaghi di corallo dai colori vividi e sanguigni, sospesi in uno stagno notturno di acqua morta. Sulla grande montagna anche le nevi rosseggiavano incandescenti, e intorno le rocce più scure sembravano cenere e ceppi carbonizzati, come se uno strano falò alpino bruciasse intensamente sulla sommità, senza neanche emanare un alito di calore.”
(da “Le stanza segrete delle montagne”)
L’immagine di copertina de “Le stanze segrete delle montagne” è un dipinto di Livio Politano.