LORENZO BARBERIS.
Mi era capitato, poco tempo fa, di scrivere di un importante e semidimenticato poeta di origine monregalese, probabilmente la prima voce poetica del Nazionalismo italiano dal secondo Ottocento fino all’avvento del fascismo: Mercurino Sappa.
Nell’articolo (qui), oltre a riportare le scansioni di alcune poesie significative nel percorso dell’autore, lamentavo la carenza di materiale iconografico: solo una foto, che è anche la fonte del busto apposto in suo onore al Regio Liceo, dove insegnava.
L’articolo, direttamente o indirettamente, ha stimolato un sia pur minimo ritorno di interesse attorno a questa figura quasi perduta, e una gentilissima collezionista di foto antiche, Mariella Balocco, ha messo a disposizione di Margutte alcune immagini da lei possedute, raffiguranti appunto il nostro poeta.
Mercurino Sappa appare spesso in queste foto con le amate figlie, come nella foto di copertina.
Nato nel 1853, Sappa si sposa nel 1886, quindi – in assenza di più precise informazioni – direi che le foto sono dei primi anni del ’900 (sarebbe bellissimo se la grande fosse una austera tredicenne d’allora, e fossimo nel 1899). Una delle fanciulle, Gilda Sappa, fu a sua volta poetessa ma – anche per carenza delle fonti – non avevo approfondito a sufficienza questo aspetto, che la fotografia rivela come rilevante: nelle foto private di Sappa sono sempre le figlie, a volte con lui, a volte da sole, al centro dell’attenzione dell’occhio fotografico.
Guardando le coppia di fanciulle con la loro deliziosa aria retrò, non si può non pensare al torinese Guido Gozzano e alla sua “L’amica di Nonna Speranza”, nata da una dedica di una fotografia del 1850, che fa tornare il poeta, ai primi del Novecento, al centro di quel secolo cui guarda con nostalgia.
Quel giorno – malinconia – vestivi un abito rosa,
per farti – novissima cosa! – ritrarre in fotografia…
Il primo servizio fotografico monregalese è del 1878, quindi ormai a Mondovì non era più una novità il fatto fotografico, anche se, in queste forme, riservato alla borghesia cui Sappa – professore del Regio Liceo – apparteneva (per i proletari, c’erano le foto di massa davanti alle rispettive fabbriche, variazione delle foto di classe scolastiche di oggi).
In questo senso, anche di Sappa abbiamo una foto diciamo “professionale”, dalla collezione Balocco: qui appare (al centro della composizione, in grigio) nel chiostro del Regio Liceo, in mezzo a quelli che sono, con ogni probabilità, i suoi esimi colleghi. La foto è chiaramente un dettaglio di una foto più ampia, perché all’epoca, in provincia, immaginare una composizione ardita, con figure tagliate, è impossibile.
Foto professionale, ma con un certo risalto a ogni figura, a ogni individualità, a differenza dalle foto dei primi operai-massa, anche certo per via del minor numero di individui da ritrarre, ma anche per il rilievo dato al docente di Liceo, ai tempi. Affascinante il florilegio di barbe e baffi maschili, tra i quali comunque il poeta Mercurino primeggia. Glabri solo i sacerdoti nel corpo insegnante, consuetudine invalsa per differenziarsi coi barbuti ortodossi e coi protestanti (barbetti, appunto, in piemontese).
Tutte le altre foto, però (quelle con una commissione personale dell’autore, possiamo dire) lo ritraggono con le amate figlie, in una posa impostata ma non così rigida, a tratti quasi sbarazzina (seduto a cavalcioni di un muretto, o – come qua sopra – di profilo). Primo Novecento, quindi gli anni in cui Gozzano guarda con nostalgia al 1850 dal 1911; oggi, per paradosso, i due periodi ci paiono schiacciati dalla prospettiva storica, e noi guardiamo con simile melanconico fascino alle sorelle Sappa.
Questo scatto, sagomato ad arco a tutto tondo (e non con molta perizia) è invece parte dello stesso servizio della foto di copertina, la migliore, e pare indicare appunto non una fotografia singola dell’autore con le sue ragazze, ma una serie a loro dedicata.
Il rapporto con le figlie appare intenso e autentico, per gli standard di una famiglia borghese dell’epoca. Anche nella poesia appare questo insistito senso di Mercurino nel voler trasmettere alle sue fanciulle una sorta di eredità morale con le sue liriche, ma su carta – specie nei formalismi da professore di Liceo del tardo Ottocento – l’affetto può anche trasparire come formale. La fotografia non mente, o meglio, questo è quello che ci diciamo.
Nella collezione Balocco ci sono anche due ritratti “a solo” di una delle due fanciulle (speriamo della poetessa, Gilda Sappa), decisamente interessanti perché non sono la classica foto diciamo “documentaria”, ma sono foto con una certa pretesa artistica, una scelta più rara per il periodo, anche se ovviamente tutt’altro che assente.
Questa immagine, ad esempio, presenta una buona anche se classica composizione dei volumi, con una tripartizione non ingenua dello spazio fotografico. I tre gradini segnano un primo terziere verticale, la fanciulla occupa, dalla gonna alla mano, un secondo terziere (fine della scala in pietra) e la terza parte è segnata dalla scala in legno che va verso l’alto, di cui vediamo, sopra la spalla della fanciulla, altri tre gradini. Il corpo della fanciulla media perfettamente tra lo scalare dei due volumi.
La raffinatezza compositiva, piuttosto precisa, acquista una valenza simbolica non peregrina, cogliendo la fanciulla a metà della scalata verso la vita adulta, in quella preadolescenza che è soglia tra l’infanzia e la primissima giovinezza (volendo, si presta bene addirittura a subliminali stereotipi ottocenteschi quali: è finita la parte di salita più solida e meno ripida, l’infanzia, inizia l’ascesa più irta della giovinezza…)
Più semplice, ma forse ancor più interessante (a nostro avviso, la più bella di questa breve e intensa raccolta), quest’altra foto, dove il cappellino di paglia della fanciulla diviene una aureola perfettamente circolare, associata a uno sguardo trasognato, “romantico” ma anche di vaga e perplessa consapevolezza, che bene si addice all’archetipo della “santina”.
Viene in mente la figurazione di Gesù Bambino che proprio nel devozionalismo dell’Ottocento inizia a non farsi più figura di Infante Imperatore, neonato ma corrusco puer cosmicus, ma preadolescente “patetico”, con allusione più o meno sottile al futuro martirio (qui sopra, tutt’altro che sottile…).
Con un parallelo meno azzardato, verrebbe da accostare la foto al Valentino di Pascoli, “fotografato” nel suo nuovo vestitino. E con la lirica del Pascoli riadattata chiudiamo quindi questo squarcio sul tardo Ottocento / primo Novecento monregalese.
Oh! Valentina vestita di nuovo,
come le brocche dei biancospini!
Solo, ai piedini provati dal rovo
porti la pelle de’ tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma ti fece,
che non mutasti mai da quel dì,
che non costarono un picciolo: in vece
costa il vestito che ti cucì.
Costa; ché mamma già tutto ci spese
quel tintinnante salvadanaio:
ora esso è vuoto; e cantò più d’un mese
per riempirlo, tutto il pollaio.
Pensa, a gennaio, che il fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi, ahimè!,
e le galline cantavano, Un cocco!
ecco ecco un cocco un cocco per te!
Poi, le galline chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magra contadinella,
restasti a mezzo, così con le penne,
ma nudi i piedi, come un uccello:
come l’uccello venuto dal mare,
che tra il ciliegio salta, e non sa
ch’oltre il beccare, il cantare, l’amare,
ci sia qualch’altra felicità.)