Fumetto, Numero Uno!

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LORENZO BARBERIS.

Si è inaugurata sabato 15 novembre una interessante mostra presso la Meridiana-Tempo, storica realtà espositiva del monregalese.

Per una volta, infatti, le sale della galleria della Meridiana non si sono aperte ad una tradizionale mostra di pittura (o fotografia, o grafica, o scultura…) ma a una mostra di fumetti decisamente particolare.

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La presente mostra “Fumetti senza tempo – Numeri Zero” espone quindi la collezione del monregalese Pierluigi Lanza, corredata da alcune tavole originali di giovani disegnatori e fumettisti. La collezione ha come tema la raccolta di numeri uno, numeri zero e speciali di pubblicazioni a fumetti seriali. Una raccolta particolare, che offre la possibilità di gettare uno sguardo piuttosto ampio su numerosissime pubblicazioni dagli anni ’60 ad oggi.

La collezione Lanza è molto vasta (oltre l’arco temporale coperto, spazia tra fumetto europeo, americano e giapponese, i tre grandi filoni del fumetto stesso) ed è quindi pressoché impossibile elaborare una sintesi, si tratterebbe quasi di scrivere una storia del fumetto (brevi cenni sull’universo).

Si tratta comunque di edizioni in prevalenza italiane di fumetti sia italiani che esteri; quindi una riflessione sulla ricezione italica del fumetto (italiano e non) riguardo al tema del “first issue”.

1933

Il collezionismo fumettistico nasce in America, fin dal 1897, quando l’Hearst di Quarto Potere, oltre ai fumetti, fa pubblicare le prime raccolte di strisce, i primi comic book. La qualità della carta è bassissima, quella del giornale, e solo con 1929 inizierà la produzione di materiale originale, e in parallelo la creazione di comic book lievemente più resistenti negli anni ’30. “Famous Funnies”, del 1933, è ritenuto il primo comic book moderno.

Tra questi primi albi sta la Bibbia di Gutenberg del fumetto, il numero uno di Action Comics con la prima storia di Superman, del 1938, venduto recentemente per oltre tre milioni di dollari. Con Superman inizia infatti il genere supereroico che porta il fumetto americano al successo, stimolando lo sviluppo generale del medium.

In questo modo si conferma come i fumetti della golden age, ispiratori della Pop Art, siano in qualche modo la vera pop-art dei nostri tempi, con quotazioni paragonabili a quelle dei grandi pittori del Rinascimento o ai più noti nomi del Novecento.

Un valore speculativo che riflette certo il valore culturale dell’opera di Siegel and Shuster, ma anche la fragilità estrema di questi primi fumetti, cui non era attribuito inizialmente alcun valore reale, tanto da richiedere una estrema cura al collezionista appassionato.

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tex

In Italia la situazione è diversa. Il primo Novecento è segnato da storie in rima, senza il tipico balloon che diviene poi tipico (fin nel nome italico) del fumetto. E i primi comics sono di importazione americana, negli anni ’30, pubblicati su riviste-contenitore, sul modello americano.

Solo nel secondo dopoguerra prospera una produzione autonoma, che porta al formato dell’albo a fumetti, con una corrispondenza un solo personaggio / una sola storia / un solo albo.

Per un pubblico di ragazzi si cerca di riprodurre il genere supereroico con Asso di Picche (1945) di Hugo Pratt, ma quello che predomina, grazie al traino del cinema, è il western, con Tex Willer (1948) di Bonelli. Inizialmente il formato è a strisce, forma rara non presente nella mostra, che inizia a questo proposito con l’albo “La Mano Rossa”, primo albo dell’attuale numerazione.

Per il pubblico di bambini si adatta invece il Topolino disneyano, forte anche del traino dei cartoni animati Disney, che sotto la Mondadori inizia dal 1949 a sviluppare storie italiane (la prima è “Topolino e il cobra bianco” di Guido Martina) evolvendo un filone comico-avventuroso in un formato “a libretto” (1953). In mostra vi sono soprattutto molti “numeri uno” dei suoi innumerevoli imitatori, di un periodo leggermente successivo.

Un punto di svolta nel fumetto italiano (e nel collezionismo dello stesso) avviene con il 1960, quando si impone in modo definitivo il formato brossurato, che rimanda più ai libri che alle riviste. Topolino diviene settimanale, prova della crescita della sua diffusione (pur senza cambi di numerazione), mentre il Tex Bonelli (e le altre pubblicazioni, tra cui lo Zagor di Sergio Bonelli del 1961) assumono il formato “quaderno”, in brossura ma lievemente più grande. Le storie vengono ripubblicate quando esaurite, ricalcando quanto si fa per i libri.

Nel 1962 nasce inoltre Diabolik delle sorelle Giussani, con un formato che riprende i “tascabili” di grande successo nel periodo (specialmente in ambito giallo-noir) anche e soprattutto per i pendolari.

(Siamo anche nell’Italia del Boom, che va attenuando le censure degli anni ’50 del “monocolore bianco” democristiano).

Il nucleo storico più “antico” della collezione Lanza risale a questi anni ’60 in cui si va definendo il fumetto italiano, e mette in mostra un’ampia selezione del fumetto di allora.

La maggior parte dei “tentativi di imitazione” riguardano in questo momento il polo per bambini, variazioni sul formato del fortunato Topolino della Mondadori, di cui si cerca anche di riprodurre il formato grafico, evocandone il nome. Alcune di queste testate, come “Tiramolla” di Rebuffi avranno a loro modo un discreto successo, mentre altre naufragheranno nell’oblio.

Spesso sono riviste che non vanno oltre i primi tre-quattro numeri: sono questi, infatti, i tempi per avere i risultati delle rese (salvo uso di metodi di studio del mercato più sofisticati) cosa che porta a una correzione di rotta delle tirature o, in caso di insuccesso, alla chiusura delle testate.

Un secondo polo, un po’ minore, riguarda i fumetti tascabili “for mature readers” o decisamente “per adulti”, ispirati a Diabolik nel formato e, per molti versi, nelle storie.

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Il tema dei numeri zero e speciali – e, in parallelo, la speculazione sui numeri uno – è invece un fatto tipico del fumetto americano a partire dagli anni ’70, quando la seconda crisi produttiva dei comics (economica, mentre la prima è censoria) vede la trasformazione del fumetto e la nascita delle fumetterie (e, in parallelo, anche per una trasformazione sociale, la fine della censura). Il fumetto diviene qualcosa da collezionare, di cui, di conseguenza, si cerca anche artificiosamente di alimentare un valore collezionistico. In realtà il primo Numero Zero pare sia quello di Zap Comix (1968), una pubblicazione underground, che vuole con questo ironizzare sul concetto stesso di numerazione, con un intervento più artistico che commerciale. Ma la cosa aiuta a far lievitare il valore della storica rivista controculturale, e viene quindi ripresa anche da testate più commerciali.

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Se vogliamo, la collezione Lanza documenta di meno un altro filone, su cui invece personalmente sono più documentato, anche se in modo asistematico: quello del fumetto Bonelli e bonellide degli anni 1980, che dopo il grande successo di Dylan Dog vide un grande lancio di testate nel formato quaderno, da parte della Bonelli e da parte di innumerevoli imitatori, nel tentativo (mai riuscito) di reduplicare il successo dylaniato.

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Negli anni 1990 la nuova casa supereroistica Image, nata da un consorzio di studi indipendenti, favorì la diffusione anche da noi del costume delle “variant cover”, ovvero di più versioni della copertina dei primi numeri di un fumetto, per catturare l’attenzione dei collezionisti. Anche le due storiche DC Comics e Marvel si adeguarono, in parte, alla nuova tendenza, che non coinvolse inizialmente il fumetto italiano della Bonelli e i suoi imitatori.

Si impongono allora copertine a rilievo, argentate, dorate o comunque in colori metallizzati e con effetti speciali, con lo scopo di colpire l’occhio del collezionista e convincerlo ad acquistare tali numeri a prezzi anche più elevati nella speranza – quasi sempre disattesa – di un investimento speculativo. Le testate nascono e muoiono nel giro di un breve periodo, per alimentare il borsino collezionistico, talvolta a scapito della qualità del fumetto, altre volte stimolando a innovare per tenere sempre impressionato il lettore.

Anche l’abitudine di creare “numeri zero” si rafforza in questo periodo: brevi pubblicazioni dimostrative lanciate spesso a prezzo gratuito, per solleticare la curiosità del lettore; e simmetricamente ogni occasione diviene buona per creare un “numero speciale”: Similmente si spezza la continuità delle serie, in modo da creare molteplici possibilità di nuovi “numeri zero” e “numeri uno”.

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Gli anni 2000 sono segnati dalla grandissima diffusione dei manga, che divengono predominanti, col loro specifico formato di “tascabile da metropolitana”.

Poi, con gli anni 2010, la diffusione ormai capillare della rete, la crisi economica e la conseguente crisi della carta stampata hanno prodotto una ventata gelida anche sul mondo fumettistico. I bonellidi sono quasi estinti, e anche in tutti gli altri ambiti la “selezione naturale” colpisce piuttosto duramente.

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Oggi anche la Bonelli, casa italiana più tradizionale del fumetto d’avventura, ha inaugurato questa nuova tendenza per le sue nuove tre uscite di Lucca 2014, l’avventura classica di Adam Wild, l’horror rinnovato dello storico Dylan Dog, e la fantascienza in salsa italiana di Ringo (tre grandi filoni della Bonelli, che si cercano ora di rilanciare).

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Ma al di là della possibilità di questo rapido volo di uccello sull’evoluzione del fumetto in Italia, la collezione Lanza è bella per la sua capacità di dispiegare in modo immediato la forza visiva del fumetto, con le sue copertine affascinanti e seducenti.

A partire da quella prima cover di Superman, quasi ottanta anni fa.