Quinta puntata - Le sorprese del Taumaturgo
FRANCESCO PICCO
Questo nuovo monaco aveva un abito completamente diverso, nero, con un grande cappuccio calato sulla fronte. Viktor pensò che si trattasse della divisa dei monaci armeni e si chiese se fosse lui il Monaco Taumaturgo. Quasi subito capì che non era così, poiché i lineamenti del monaco lo dichiaravano troppo giovane – trent’anni, a occhio e croce – e i suoi occhi neri e spenti non avevano nulla della vivacità e dell’energia che Viktor aveva immaginato. Il monaco disse qualcosa a Sergej, che gli mise in mano una grossa moneta d’oro. Il monaco cattolico si inchinò e si avviò subito per il lungo corridoio, seguito da Sergej e, per ultimo, Viktor. Gli zoccoli nei piedi di Viktor rimbombavano pesantemente sul pavimento di marmo e gli facevano male. Ma il monaco quasi correva e Viktor era costretto ad accelerare il passo per non restare troppo indietro correndo il rischio di perdersi. Un rischio concreto, poiché al termine del corridoio il monaco li condusse su per una stretta scala a chiocciola, che a sua volta sbucava in una strana sala spoglia con l’insegna del Papa di Roma al centro. La percorsero velocemente fino a trovarsi di fronte una porta a doppio battente chiusa da un lucchetto. Il monaco iniziò ad armeggiare con il mazzo di chiavi che gli pendeva dal bordone ed aprì il lucchetto. La porta quasi automaticamente si spalancò dando loro accesso a un magnifico cortile coperto di neve intorno a cui si sviluppava un chiostro in stile italiano. Viktor, sorpreso di questa rivelazione architettonica, restò immobile a contemplare l’ambiente. Sembrava il chiostro dell’università di Torino e si aspettò di veder sbucare da una grossa porta sulla sinistra il corpo obliquo e gibboso del docente di Anatomia umana. Invece, da quella porta uscì un vecchio monaco armeno cattolico con il viso quasi completamente nascosto dal cappuccio. Il vecchio camminava con molta lentezza appoggiandosi a un grezzo bastone nodoso e ricurvo che doveva essere stato ereditato direttamente da qualche patriarca biblico.
Improvvisamente, Sergej e Viktor si accorsero di essere da soli insieme al vecchio. Non c’era più nessun altro in quel cortile. Dunque, il Taumaturgo era il vecchio. Che restava in silenzio, dopo essersi seduto sul parapetto del chiostro, appoggiando la schiena a una colonna tortile. Non fece alcun cenno di avvicinarsi, ma si tolse il cappuccio.
Viktor sentì un brivido di freddo attraversargli tutta la spina dorsale. E non era soltanto perché stava a torso nudo in un cortile aperto. Il brivido era stato innescato dagli occhi del monaco: due laghi di ghiaccio azzurro che lo fissavano immoti dall’ombra del cortile. In gioventù il vecchio doveva essere stato un uomo bellissimo. I capelli bianchi vaporosi e ondulati avevano ancora alcune striature di rosso ostinato. Il naso adunco e le grandi orecchie a sventola gli ricordavano i medici ebrei che aveva conosciuto in Ungheria, ma anche certi montanari piemontesi conosciuti durante i viaggi con il Conte padre attraverso le Alpi del Regno Sabaudo. In tutti i suoi lineamenti traspariva comunque un’impronta di armoniosa durezza.
Viktor volse lo sguardo verso Sergej pregandolo di dire qualcosa. Sergej sembrava a sua volta paralizzato da una sorta di timore reverenziale. Balbettò qualcosa in un russo elementare e confuso. Frasi sconclusionate che anche uno straniero come Viktor avrebbe saputo formulare meglio. Il monaco continuò a fissarli. Viktor a questo punto, lontano da occhi indiscreti, pensò che la durata della sceneggiata fosse stata sufficiente e si rivolse a Sergej con l’abituale piglio da compagno ricco. Forse non capisce il russo – gli disse – prova un po’ a parlare armeno.
Sergej parve stizzito. Si era abituato a considerare Viktor come un servo e doveva costargli fatica ricominciare a trattarlo come un padrone: con quegli stracci addosso, poi! Così ribatté di non saper parlare armeno e comunque – aggiunse – non gli risultava che i malati imparassero l’armeno prima di chiedere n aiuto al santo frate. Il quale, immobile, inespressivo, continuava a fissarli con due occhi da aquila.
Allora stiamo sbagliando qualcosa – riprese Viktor, alzando la voce – devi trovare un sistema per farci ascoltare.
Sergej sbottò che non era pagato per far parlare frati armeni, ma per fare da scudiero, da valletto e da paggio a un medico sardo e tutte queste cose le sapeva fare benissimo. Nel battibeccare i due ragazzi si dimenticarono del monaco, che continuava a restare immobile a contemplarli con quegli occhi vitrei pieni di strana energia. Poi improvvisamente il vecchio disse qualcosa.
Viktor e Sergej smisero di colpo di discutere e tacquero.
Che cos’ha detto?
Non lo so, non mi sembra che abbia parlato in russo…
In silenzio, i due ragazzi si avvicinarono al vecchio. Il monaco li gelò con un sonora risata alzando lo sguardo al cielo e finalmente parlò, rivolto non a loro ma a Dio.
Nosgnor, ch’i l’avèi doname la fòrsa ’d fërmé doi rei, deme la fòrsa ’d toleré doi fòj… [1]
Sergej confermò che non era russo e Viktor gli intimò urlando di stare zitto perché era un idiota. Ma intanto si mise a tremare, accasciandosi in ginocchio davanti al vecchio e contemplandolo come una sorta di miracolo. Il vecchio sembrò a sua volta sorpreso di questa reazione – e quasi spaventato. Non appena Viktor gli abbracciò le ginocchia, infatti, estrasse dalla tasca del vestito un piccolo campanello d’oro e lo suonò insistentemente. In men che non si dica arrivarono due grossi frati giovani che presero sottobraccio l’uno Sergej e l’altro Viktor accompagnandoli fuori dal convento attraverso una porticina laterale che dava sul retro.
[1] «Nostro signore, che mi avete dato la forza di fermare due re, datemi la forza di tollerare due stupidi…»
(Continua)