Il gioco delle perle di vetro

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GABRIELLA MONGARDI.

AVVISO AI NAVIGANTI. Nonostante il titolo, non state per leggere un commento all’omonimo romanzo di Hermann Hesse, premio Nobel per la Letteratura 1946, ma una serie di divagazioni che prendono in prestito da Hesse il titolo per applicarlo al gioco più bello del mondo, quello della Letteratura, e cercano di fare il punto… sulla Letteratura, appunto: la sua funzione, il suo valore, i suoi tratti distintivi.

Si intende qui per Letteratura l’ “arte della parola scritta”, ossia la scrittura di invenzione, in versi o in prosa, che attinga livello artistico: detto in altri termini, in cui prevalga la funzione poetica del linguaggio.
È stato un linguista della Scuola di Praga, Roman Jakobson, a individuare i sei principali elementi della comunicazione: l’emittente, il ricevente, il messaggio, il codice, il canale e il referente, e ad associare a ciascuno di essi una specifica funzione linguistica, un diverso scopo e modo di utilizzare la lingua.
Così, quando si parla o scrive soprattutto per trasmettere informazioni, prevale nel discorso la funzione referenziale o informativa; quando si controlla se il ‘canale’ – materiale o psicologico – su cui passa la comunicazione è ‘aperto’ si userà la funzione fàtica (o di contatto); quando si chiariscono gli elementi e le regole del codice (la lingua) che si sta utilizzando interviene la funzione metalinguistica; quando si danno ordini o consigli al nostro interlocutore (il ricevente) siamo di fronte alla funzione conativa, mentre abbiamo a che fare con la funzione emotiva quando l’emittente del discorso parla di se stesso. La funzione poetica compare invece quando l’attenzione dell’emittente è incentrata sul messaggio, ossia sull’insieme dei segni che il ricevente deve decifrare, in base alle regole del codice comune, per comprendere la comunicazione.

Pertanto affermare che «poeta è chi usa la lingua in funzione poetica» non è una tautologia come potrebbe a prima vista apparire: significa che il vero poeta, l’artista della parola, non scrive per “dire” qualcosa, ma per “combinare” in modo nuovo, originale, delle parole, o meglio dei significanti. Le parole infatti, in quanto segni, sono una medaglia a due facce, il significante e il significato: il significante è l’aspetto materiale, sono i suoni (fonemi) che le costituiscono e veicolano il loro significato. È per la precisione sul significante che lavora la funzione poetica, nella tensione di arrivare ad attingere la pura “autonomia del significante”, liberando le parole da tutte le incrostazioni di cui le ha ricoperte l’uso quotidiano e ‘utilitaristico’ della lingua e restituendole al loro fulgore primigenio, al loro ancestrale potere evocativo, magico.

In senso strettamente tecnico, funzione poetica si ha anche nelle filastrocche, negli scioglilingua, nei giochi di parole: la differenza tra questi prodotti linguistici e un capolavoro come per esempio la Divina Commedia è… Dante, cioè la grandezza dell’autore. Il poeta gioca sì con le parole, gioca con le sue perle di vetro, ma nel suo gioco dispensa Bellezza pura, con la sua lingua ‘altra’ da quella normale crea un mondo ‘altro’, ‘fittizio’ ma non irreale, crea miti e simboli che rappresentano una forma di conoscenza alternativa a quella scientifico-razionale, ma non meno profonda e preziosa.

La Letteratura, in quanto arte, ci arricchisce di Bellezza – e come insegnano i Greci, innamorati della Vita, ma ‘a occhi aperti’, la Vita con i suoi orrori e il suo Orrore finale si può sopportare solo grazie alla Bellezza…
Il mondo che la Letteratura crea non è evasione, fuga dalla realtà, ma è più vero del vero: è uno specchio magico che riflette sempre il reale, fuori o dentro di noi, svelandolo in ciò che solitamente non vediamo o non vogliamo guardare; anche quando lo deforma, lo fa per rendere riconoscibile e tollerabile una Verità che altrimenti sarebbe indicibile. Perché la grande Letteratura non è quella che dà risposte e risolve i problemi, bensì quella che sconvolge, rivoluziona, fa esplodere certezze, e insieme ci dà la forza di vivere in un mondo instabile, copernicano, senza centro né orientamento: in una parola, ci salva.
Attraverso i miti, i simboli, i personaggi della Letteratura entriamo nel Regno della Possibilità: possibilità di vivere esperienze che altrimenti ci sarebbero precluse, possibilità di arricchire di significato la quotidianità più banale, possibilità di entrare in contatto con il nostro nucleo emotivo più intimo e autentico gettandovi un fascio di luce che ci restituisce a noi stessi – e non è poco…

I giochi che si possono fare con le parole sono infiniti: si possono combinare insieme in base a ritmo e suono per costruire rime e versi e strofe; si possono collegare e organizzare con le mille figure retoriche che i manuali minuziosamente elencano: metafore e similitudini, metonimie e sineddochi, ossimori e antifrasi, allitterazioni e onomatopee, chiasmi e paronomasie e anafore ed epifore ecc. ecc.; nei testi narrativi, in più, si gioca con trama e intreccio, tempi della storia e del racconto, narratore e punto di vista, sequenze e ruoli…
Per effetto di tutti questi giochi si compie una miracolosa metamorfosi, e quella lingua trita e ritrita, logorata dalla comunicazione ‘di servizio’, la lingua povera, schiava del nostro bisogno, diventa come per magia nuova e vergine e alta, una lingua libera, che porta lontano, nutre, rigenera, sublima: vera lingua-madre, lingua primigenia, adamitica, in cui si ripristina la corrispondenza parola-cosa, il linguaggio si libera dalla gabbia della convenzionalità e spicca il volo, e noi con lui.

In generale, è la “ribellione” uno dei criteri per stabilire se ci troviamo di fronte a una vera opera d’arte, a un capolavoro: è proprio dei grandissimi infrangere le regole, contaminare, muoversi alla frontiera fra più mondi, fra più generi letterari, sfuggire alle etichette, alle classificazioni… È questo che li rende originali e inesauribili, perché non fossilizzati, ma aperti a sempre nuove letture e interpretazioni, in una parola: polisemici. La polisemia, la molteplicità di significati, è una caratteristica di tutte le opere di valore.

Un altro criterio per stabilire la grandezza di un testo letterario è valutare gli effetti che produce su chi lo legge: secondo Kafka, «un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di noi», e la Dickinson è ancora più precisa, scende più nei dettagli: « Se leggo un libro e mi sento gelare in tutto il corpo, tanto che neppure il fuoco può scaldarmi, allora so che quella è poesia. Se provo la sensazione fisica che mi stia spaccando il cervello, allora so che quella è poesia. Sono questi gli unici due modi in cui la riconosco. Nessun altro».

Infine: poeti si nasce o si diventa? Per dirla con Cicerone: conta di più l’ingenium, il talento naturale, o l’ars, la tecnica? La risposta è una sola: come succede in tutti i campi, un artista non può fare a meno dell’ars, ma senza ingenium non può essere grande, autentico, coinvolgente. L’ingenium è un dono, è il mistero dello Spirito Creatore, sfuggente nella sua essenza a qualunque teorizzazione, a qualunque tentativo di definizione: di fronte alle sue miracolose epifanie non resta che inchinarsi in meditazione. E in adorazione.

Foto: “Poesia visiva” di Basso Sciarretta, particolare