ISABELLE FELICI
Il circolo culturale ARCI Cucine del popolo di Massenzatico ha promosso il convegno “Le cucine della solidarietà” il 3, 4 e 5 ottobre 2014. La manifestazione si è svolta in un posto storico, nel paese che ha visto nascere nel 1893 il primo centro sociale in Italia, fondato da Camillo Prampolini. Le Cucine del popolo a partire dal 2004 ogni due anni promuovono un convegno; il tema di questa quinta edizione era la questione della solidarietà. Così i membri di questo circolo culturale presentavano l’assise: «Il tema di questo convegno è la Solidarietà, in un momento in cui la competitività esasperata contrappone i singoli e disgrega la società, in cui le condizioni di vita risultano sempre più difficili, in cui i diritti che dovrebbero essere universali sono continuamente messi in discussione, e i principi di equità sociale sembrano un lontano orpello di società passate. I governi affermano che l’unica possibilità è trovare nuovi mercati, diventare più efficienti, negare diritti e imporre egemonie attraverso guerre e politiche di sfruttamento. I governi ci vogliono concilianti e fiduciosi nelle manovre che impongono, pronti a sacrificare ogni aspirazione di cambiamento. Come se i dieci milioni di persone in povertà oggi in Italia fossero una fatalità e non una conseguenza di politiche nazionali e sovranazionali. Le Cucine del Popolo vogliono ripartire dal basso, dalla fantasia e dalla idealità, convinti che si debba sperimentare, trovare strade alternative reali. Nel nostro piccolo cerchiamo di dare vita ad un cantiere di resistenze e/o opposizioni alimentari capaci di costruire esperienze enogastronomiche autogestite. Per questo abbiamo voluto dedicare il convegno al valore della solidarietà, quella di classe, per capirci, nel suo svolgimento storico tra lontano passato e futuro più prossimo. Occorre partire dalla storia degli ultimi, del movimento operaio e contadino, fondato sui valori egualitari e solidaristici, per arrivare alle attuali esperienze mutualistiche. Vogliamo dare spazio alle istanze di base per favorire le realtà che oggi rappresentano un’importante punto di partenza per un’alternativa concreta. Forni autogestiti, orti sociali, vere cooperative, casse di mutua resistenza, spazi sociali indipendenti, banche del tempo e gruppi di acquisto. Ma vogliamo soprattutto sollecitare indicazioni, costruire reti, sperimentare laboratori tra quelle realtà – e sono tante – che si stanno muovendo dal basso, senza profitto, iniziando proprio dalla tavola proletaria, luogo centrale della cucina popolare. Dobbiamo aprire una nuova stagione all’insegna della solidarietà libertaria, muovendo dai bisogni più concreti quali il cibo, la convivialità, la sorellanza e la fratellanza. Dagli ultimi e per gli ultimi».
La manifestazione è stata aperta con una particolare partecipazione emotiva, inaugurando due targhe, la prima in onore di Camillo Prampolini, (è suo il motto delle Cucine del Popolo: «Uniti siamo tutto, divisi siamo nulla»; la seconda in onore di Luigi Veronelli, enologo di fama internazionale e membro fondatore del circolo culturale Le cucine del popolo: «A Gino Veronelli che ha insegnato al mondo la libertà del piacere e il piacere della libertà». Dopo la pastasciutta conviviale, Fabio e Francesco hanno dato un bel concerto di canti popolari e anarchici, da tutti conosciuti ma dal duo reinterpretati con strumenti d’epoca e con ritmi e melodie rivisitati. Davanti alle richieste di interpretare anche “Addio Lugano bella”, Fabio e Francesco non riuscivano a dire di no e il concerto finiva con il pubblico che cantava in coro l’inno anarchico.
La parte di riflessione storica del convegno aveva luogo nel pomeriggio del sabato 4 ottobre con sei interventi che mettevano in relazione il tema del cibo e della solidarietà.
Alberto Capatti commentava una ricetta tratta da un ricettario pubblicato a Reggio Emilia nell’1884: La cuciniera maestra. La ricetta s’intitolava “Cuor di bue alla comunista” ed aveva per ingredienti un cuore di bue che doveva cuocere per quattro ore in una certa quantità d’acqua, vino e acquavite. La ricetta è stata sperimentata dallo stesso Capatti che, basandosi in particolare sul prezzo del cuore di bue fornitogli dal macellaio, concludeva il suo intervento invitando ad andare a caccia di ricette che favoriscano le pratiche solidali.
Edy Zarro e Isabelle Felici trattavano rispettivamente la questione del cibo nei milieux libres in Francia e nella Colonia Cecilia (Brasile 1890-1894). Se nelle comunità anarchiche francesi dell’inizio del XX° secolo ci si interrogava se era lecito il consumo di carne o di vino, nella Colonia Cecilia la situazione era ben diversa, infatti nella Colonia spesso il cibo non era sufficiente: scarsa alimentazione, monotonia del cibo consumato (polenta, carne e fagioli), mancanza del pane e costo del vino rendevano faticosa la questione della solidarietà.
Dopo la rievocazione fatta da Federico Sora, del brodetto (e non guazzetto) preparato dai lavoratori di Fano per convincere Alceste De Ambris a sostenere il loro sciopero, venivano ricordati episodi del sindacalismo anarchico e libertario: Franco Schirone declina il tema della solidarietà mettendo a confronto lo sciopero di Fougères (Francia) del 1906 e quello di Parma nel 1908. Quest’ultimo episodio viene ripreso anche da Francesco Salton e Emilia Arisi. È l’occasione di ricordare come si viveva a Parma, dove si pativa la fame fin dalla nascita. Lo sciopero, preparato da molto tempo, testimonia una storia di solidarietà tra campagna e città e tra Parma e il resto del mondo: tanti emigrati mandavano contributi dall’estero per sostenere le “pentole comuniste”.
Nell’intervento conclusivo, Federica Zani ripercorre l’avventura delle Cucine del Popolo e la loro evoluzione negli ultimi anni, tra gastronomia e pensiero libertario. L’intervento di Federica commuove tutti i presenti per la sua spontaneità e la sua sincerità. Di fronte alla solitudine, alla crisi, all’incertezza che colpiscono anche i giovanissimi, si organizzano tutti i venerdì degli incontri in cui il cibo, così come il vino, dice Federica, crea legami tra le persone. La capacità di stare assieme in un modo sereno non deve essere un lusso. Passare dalla pancia alla testa, nutrire la testa e lo stomaco insieme, permette di ritrovare spirito critico e intelligenza per affrontare le difficoltà quotidiane. Le Cucine del Popolo sono una realtà controcorrente e si evolvono in un ambiente formato da persone di tutte le età, diventando così luogo educativo, dove formarsi alla solidarietà, dove acquisire, anche per i più giovani, il senso delle responsabilità e dove trovare, anche per i più deboli, uno spazio dove riflettere. In altre parole, un ambiente in cui non è vano pensare all’impegno e alla solidarietà.
La serata continua con il “veglione rosso”, con menù socialista del 1906, preparato dalle “cuoche rosse”. Si tratta di un menù emiliano tradizionalissimo: affettati per antipasto, cappelletti in brodo, bollito con salse campagnole e zuppa inglese.
La domenica inizia con un mercato biologico: miele, castagne, detersivi ecologici, vini senza sulfiti, parmigiano biologico, mentre il pranzo è preparato da membri della comunità sinta di Reggio Emilia.
Segue la presentazione dell’inserto di A Rivista dedicato a Gino Veronelli (n°393, novembre 2014). Andrea Bonini, Diego Rosa, Orazio Gobi e Paolo Finzi, ai quali si aggiungono Andrea Ferrari e Alberto Capatti, non sono certamente troppi per disegnare la figura ricca e complessa di Veronelli, il quale si è accostato al movimento anarchico, tentando di ridefinire un percorso enologico pregnante dal punto di vista etico e non legato al bere. Vengono ricordate anche le tante iniziative in preparazione dedicate a Veronelli, fra cui una mostra “Camminare la terra” prodotta dalla Triennale di Milano e dal Comitato decennale Luigi Veronelli (21 gennaio – 22 febbraio 2015) con documenti tratti dal suo archivio personale e oggetti che cercano di dare la dimensione quotidiana del personaggio. I semi lanciati da Veronelli sono tanti e tanti vogliono continuare il suo percorso.
Il pasto serale, a base di gnocco fritto, concludeva il convegno.