ANDREA MANASSERO.
Gruppo di partigiani della 6ª Divisione GL in Val d’Isère nel novembre 1944 durante una “corvée” per rifornirsi di viveri ed armi.
Raoul Bombacci è il signore seduto per terra, al centro, con la barba. Foto presente nell’archivio dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “G. Agosti” di Torino [Istoreto]
(da qui)
Luglio 2011.
C’è una busta gialla che campeggia orgogliosa sulla mia scrivania, con l’intestazione del “Ministero per i Beni e le Attività Culturali”. È arrivata qualche giorno fa dall’Archivio di Stato di Roma: la apro con una certa impazienza. Sul primo documento sta scritto a penna il suo nome: “Bombacci Raul1 di Nicola”; il foglio è intestato Ministero dell’Interno, Divisione Affari Generali e Riservati, Casellario Politico Centrale, periodo 1926-1939.
A fianco un timbro laconico, quasi epigrafico, che mi immagino sia stato apposto con una certa veemenza su una scrivania di legno, producendo un certo baccano e un certo piacere da parte dello zelante funzionario: il timbro grida “COMUNISTA”. Sorrido perché mi viene da pensare che…
Giugno 2011.
La ricerche per la mia tesi procedono lentamente nell’afa che soffoca Torino. Invece la sala di lettura dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza è vuota, silenziosa e attraversata da una leggera corrente d’aria fresca; sono le 14:02 di un pomeriggio che si dovrebbe dedicare alla digestione di carboidrati complessi, non alla ricerca d’archivio: gli occhi si socchiudono, incrocio i nomi, con date, con numeri di brigate, sto per crollare dal sonno sulla pila di documenti originali che ho di fronte (uno smacco culturale mica da poco…). Sto trascrivendo i nomi dei Commissari Politici delle formazioni partigiane del Canavese, quando ad un tratto mi imbatto in un certo Raoul Bombacci, commissario della VI divisione GL. Il sonno da primo pomeriggio evapora di colpo: Bombacci…dove ho già sentito questo nome?
Mi fido di Wikipedia per un rapido compendio e trovo invece la pagina di Nicola Bombacci (1879-1945): “Dirigente socialista durante la Prima guerra mondiale e il primo dopoguerra, fu nel 1921 uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia. Dopo l’instaurazione della dittatura fascista rimase in Italia e negli anni trenta si avvicinò al fascismo, dirigendo la rivista La Verità. Partecipò alla RSI e fu fucilato con Benito Mussolini nell’aprile del 1945.”
Possibile? È possibile che questo Raoul sia il figlio di uno dei consiglieri di Mussolini che combatte con i GL? Padre contro figlio? In realtà non è così improbabile, la guerra civile è stata anche (e soprattutto) questo.
Decido di saperne di più e mi attivo per approfondire le mie ricerche. Ciò che segue è quanto sono riuscito a sapere su Raoul Bombacci.
Nato il 15 agosto 1906 a Forlì, studia presso un collegio agrario; sedicenne, accompagna il padre nei suoi viaggi a Berlino e Mosca. Si trasferisce poi a studiare per alcuni anni in Unione Sovietica in una scuola agraria. Nel 1924, tramite un amico del padre, il funzionario Zinov’ev, trova lavoro presso la Missione commerciale in Unione Sovietica2.
Nel 1925 rientra in Italia3 dalla Russia per assolvere il servizio militare, si presenta alla frontiera con una “sedicente moglie” russa che attira l’attenzione della polizia politica fascista. Si tratta in realtà di un matrimonio di convenienza, contratto allo scopo di agevolare l’ingresso della donna in Italia, dove presto si impiega come ballerina4.
Dopo il servizio militare, Raoul si impiega all’ambasciata sovietica. Più tardi si occupa degli scambi commerciali tra Italia e Russia, presso la società import-export del padre. Pare che il lavoro renda e decide di mettere su casa; si fidanza con una ragazza romana che poi sposerà.
Occorre però precisare che per raccontare la storia di Raoul non si può prescindere da quella di suo padre Nicola, il quale aveva un passato da maestro elementare in Romagna: non c’è da stupirsi che fosse collega e amico di un altro maestro socialista romagnolo, ovvero Benito Mussolini. L’amicizia e la stima tra i due era continuata a discapito delle diverse carriere politiche: il primo isolato e cacciato dal suo stesso partito, e il secondo a capo del regime fascista.
Nel 1929, però, quando l’attività commerciale viene interrotta, Raoul si ritrova coperto di debiti: all’insaputa del padre scrive direttamente a Mussolini “…oso rivolgermi a Lei come a un secondo padre…”; addirittura forse si incontrano. Nel suo libro su Nicola Bombacci, Arrigo Petacco fa riferimento agli archivi della segreteria del duce, in cui si troverebbero rapporti su Raoul, che Mussolini chiese dopo il presunto incontro.
Nel marzo 1937, Nicola scrive a Costanzo Ciano5: “Ho un altro figlio di 31 anni (Raoul, ndr), sano ma sfortunato. È vedovo da quattro anni e disoccupato da due. Gli do 300 lire al mese.” Pochi mesi dopo, sempre Nicola scrive direttamente a Mussolini6: nella lettera si legge che Raoul era stato assunto all’Istituto nazionale delle esportazioni per interessamento del duce, ma si era licenziato dopo due anni, era rimasto vedovo e aveva fatto un altro fiasco in una qualche impresa commerciale. Chiede perciò una raccomandazione per farlo assumere presso l’Ente Nazionale della Moda.
Dai documenti del Casellario, emerge anche che nel 1933 Raoul aveva richiesto di potersi iscrivere al PNF, ma la sua domanda era stata archiviata per via dei suoi trascorsi da “comunista”. Va fatto notare che già il funzionario che si occupa di questa pratica si interroga su quale fosse la reale fede politica di Raoul, poiché non pareva essere il classico pericoloso dissidente bolscevico7. Nel 1935 le raccomandazioni di cui sopra arrivano ad accelerare la pratica per il rilascio del passaporto, destinazione USA8.
Nell’agosto 1937 Raoul scrive finalmente a Mussolini ringraziandolo: “Duce, dal 27 agosto ho preso servizio presso l’Ente Moda…”.
Raccomandato in alto loco, ripulito dal passato scomodo di “figlio di un comunista”, Raoul si trasferisce a Torino dove lavora appunto presso l’Ente Nazionale della Moda. In quegli anni anche il padre si era riabilitato politicamente e aveva di fatto aderito al regime fascista.
Ora, conoscendo questa storia tipicamente italiana dei Bombacci del “tengo famiglia” e della “buona parola”, è quantomeno bizzarro ritrovarsi un Raoul Bombacci, nome di battaglia “Cireneo”, nei ruolini della VI Divisione GL come Commissario Politico.
Da cosa si può apprendere dai documenti9 e dalla bibliografia10, l’attività partigiana di Raoul riguardò principalmente la stampa clandestina e i collegamenti con la Francia.
Curioso è leggere cosa dicono di lui. Settembre-ottobre ’44, l’ispettore GL “Augusto” scrive che Cireneo (nome di battaglia di Raoul, ndr) è un buon elemento, anche se non aderisce al Partito d’Azione11.
Il 25 dicembre ‘44, Walter Alessi, valoroso partigiano GL, che invece aveva una chiara idea riguardo alla politicizzazione della lotta armata, scrive al comando lamentando l’incapacità del Cireneo, osservando per tanto che i partigiani della divisione non hanno la minima coscienza politica. Inoltre, Alessi conclude dicendo che secondo gli accordi presi con Duccio Galimberti (prima della sua morte) sarebbe stato lui (anziché Raoul) a dover ricoprire il ruolo di Commissario Politico presso la VI divisione12.
Non vale forse la pena spendere tempo a chiedersi se si è trattato di una redenzione antifascista (sic!), o dell’ennesimo autoriciclaggio di un signore che aveva capito che in Italia conviene tenersi dalla parte di chi vince, sempre e comunque.
Ho speso invece del tempo a chiedermi come dev’essere stato per un partigiano (o presunto tale), sentire parlare del proprio padre appeso per i piedi a piazzale Loreto: perché è proprio questa la tragica fine che fece Nicola Bombacci. La compassione che mi suscitava questa immagine è però stata diluita da quanto ho appreso dal libro di Urbano Lazzaro, in cui si legge che Raoul, assieme alla madre Erissena Focaccia, si erano costituiti parte lesa nel processo per il famigerato “oro di Dongo”13, assieme alle famiglie Mussolini, Petacci, ecc.
Non intendo riportare qua le vicende su Raoul che seguirono il 1945, in quanto il mio intento è di focalizzare l’attenzione sui rapporti con il fascismo e la Resistenza di questo personaggio (per approfondimenti si veda la scheda biografica che ho redatto http://metarchivi.istoreto.it/biografie/p_bio_vis.asp?id=627).
Luglio 2013.
La “storia alta”, evidentemente è fatta di tante “storie basse”, tante storie piccole e meschine come questa, che spesso si perdono nella memoria rimossa dei protagonisti stessi, nelle reticenze che caratterizzano le guerre civili; storie (e “storiacce”) dimenticate e dimenticabili, che rimangono per 70 anni in letargo, al sicuro tra i faldoni di un archivio, per poi sgusciare fuori nel più improbabile e caldo e assonnato pomeriggio di giugno di due anni fa.
È anche questo questo il passato che non passa?
Andrea Manassero
1In realtà la grafia corretta del nome è Raoul, ma si tratta evidentemente di un refuso.
2Arrigo Petacco, Il comunista in camicia nera, Mondadori, 1997, p. 88
3Ibidem, p. 107
4Questo si evince dai verbali inviati tra le Procure di Roma, Perugia e Forlì, presenti nel fascicolo del Casellario Politico (CPC – n° busta 705).
5Petacco, ibidem, p. 129
6Ibidem, p. 130
7“…si prega la Questura di Roma di voler precisare in base a quali elementi il soggetto in esame venne segnalato con la qualifica di “comunista” (CPC – n° busta 705).
8CPC – n° busta 705
9Documenti presenti nell’archivio dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea (Istoreto) C 40, fasc. a
10Arnaldo Giunco, Renato Molinari : dal fascismo alla resistenza, la coerenza negli ideali, Barzago: Marna 2002, pp. 84-89
11C 40, fasc. VI a
12Ibidem
13Urbano Lazzaro, L’oro di Dongo, Mondadori, Milano 1995, p. 117