GABRIELLA VERGARI.
La storia d’amore tra il poeta xy e la sua risma di carta ebbe inizio, come tanti altri amori, in un tiepido, luminoso mattino primaverile, quando, insolitamente intenerito dalla nascita di un alberello, il cuore di xy provò, per la prima volta, quella particolarissima sensazione capace di dischiudere, all’improvviso, Muse nascoste e fino al momento ignote.
Afferrò, dunque, il primo foglio della risma ancora intonsa, vi buttò giù, di getto, versi sciolti sulla vita e la gioia e, vagamente stordito dalla violenza di quel repentino, strano impulso, una volta giunto alla fine dell’opera, non ne azzardò nemmeno una sommaria valutazione. Avvertì soltanto un piacevole, diffuso benessere insieme all’appagante consapevolezza di non essere affatto arido ed insensibile, come aveva invece sempre temuto.
Incoraggiato ed in qualche modo inorgoglito da quell’inattesa, imprevista rivelazione, stabilì allora di assecondare eventuali altri slanci, scrivendo senza auto-censure o inibizioni di sorta tutto ciò che da quel momento in poi gli sarebbe stato dettato dal suo animo di poeta novello. E dapprincipio, assolutamente ignaro delle conseguenze della sua decisione, comporre gli parve un fatto normale, un’attività come tante, un passatempo certo meno ordinario dei soliti, ma nulla di più: non era uomo da indulgere a facili entusiasmi né da accarezzare irrealizzabili sogni di gloria.
A mano a mano che la risma si assottigliava ed i fogli si ammonticchiavano sul tavolo – neri della sua grafia irregolare, densi di parole –, si accorse però con stupore di trovarsi sempre più in balia di emozioni e sensazioni che non avrebbe mai sospettato potessero avvinghiarlo con l’intensità dolorosa con cui in effetti lo avvinghiavano. A cominciare dal turbamento sempre più profondo che lo coglieva ogni volta che aveva dinanzi a sé un foglio bianco. Stava a contemplarlo a lungo, affascinato dalla malia delle sue illimitate promesse e soggiogato insieme dall’innocenza del suo candore. Come profanarlo? Non vi era, in questo, l’empia violenza dell’iconoclasta, la furia distruttrice del vandalo, la brutalità dello stupratore ma anche la disperata necessità del drogato, la dipendenza dell’alcolizzato, l’urgenza dell’innamorato finalmente corrisposto?
Dibattuto tra desiderio ed impotenza, mille volte sul punto di alzarsi dalla scrivania, tornava mille volte ad accomodarsi, finché non prendeva tremante la penna ed incominciava.
Dopo, era tutto diverso. Svanita la malia, svanito l’incanto della creazione, i suoi pensieri, divenuti tangibile, cruda realtà, gli apparivano stupidamente concreti sul foglio che, sporco d’inchiostro e costellato delle cicatrici delle numerose cancellature, non conservava più nulla dell’iniziale conturbante purezza. Eppure, proprio in quei momenti, a dispetto della malinconia che lo pervadeva e del sottile disgusto, provava uno strano piacere nell’avvertire che qualcosa di sé vibrava ancora nell’aria e si andava dissolvendo lentamente insieme allo sforzo della creazione: era quel sentirsi confusamente partecipe a qualcosa di grande e sublime che gli infondeva ogni volta la voglia di ricominciare.
Quanto al resto, non aveva spiegazioni per le inusitate emozioni, le nuove sensazioni dolcissime o sfiancanti, il tremito di gioia e lo sgomento che lo coglievano, repentini, ad ogni nuova poesia: non ne aveva e non ne voleva avere. Si limitava a vivere quell’altalena di estasi e sofferenza, struggimento e languore, così come si presentava, senza porsi domande, senza indagare. Magari l’avesse invece fatto!
Si sarebbe presto accorto della reale natura di tutto quel travaglio, eccessivo ed inadeguato per un modesto talento artistico quale il suo: se solo si fosse fermato a riflettere più a lungo, vi avrebbe piuttosto individuato i sintomi di un’intensa passione amorosa.
Chi non tardò ad individuarli – e non certo per caso – fu invece la sua risma di carta, gongolante nel veder così velocemente coronati i suoi sforzi per attirare xy a sé: le era piaciuto fin dal primo momento, con quel palpitante entusiasmo da neofita, con quel suo procedere esitante ma mai insicuro, con quell’abbandonarsi senza riserve o barriere ad una spirale emotiva sempre più vorticosa ed avvolgente. Le era piaciuto e l’aveva voluto per sé. Al principio per gioco: un’altra conquista di cui vantarsi, un’altra presenza anonima in calce al lunghissimo elenco delle sue vittime, un ennesimo per quanto inutile blasone.
Poi il gioco era divenuto più serio, le schermaglie iniziali non l’avevano più soddisfatta e si era ritrovata preda della sua stessa rete, al punto che la cieca, inconsapevole dedizione di xy aveva finito con lo stancarla: si sentiva ormai pronta per qualcosa di molto diverso, un rapporto esclusivo, paritario e cosciente, nel quale ricevere ma soprattutto dare, incondizionatamente, illimitatamente. Per questo era però indispensabile che xy aprisse gli occhi e capisse.
Purtroppo, così com’era stato facile coinvolgerlo in quella passione, pareva altrettanto difficile fargliene assumere la consapevolezza. Dopo vari, ripetuti ed inutili tentativi, la risma si risolse infine per una soluzione radicale, disposta a pagare qualsiasi doloroso tributo pur di accarezzare la speranza di un magnifico ed esaltante futuro insieme al poeta. Si staccò quindi da lui bruscamente, perfino crudelmente, nella convinzione che solo una lacerante separazione avrebbe potuto costringerlo a riconoscere la vera natura del suo sentimento per lei.
Ma se è vero che in amore è sempre chi fugge ad avere la meglio, è altrettanto vero che quella della fuga è un’arte raffinata e sapiente e che sbagliarne i tempi ed i modi può spesso provocare effetti rovinosi. Chissà, se la risma fosse stata meno impaziente, meno decisa …, ma , ahimè, il suo temperamento era affatto alieno da tinte tenui o sfocate e così xy si ritrovò da un giorno all’altro totalmente solo, improvvisamente privo di ispirazione, incapace di far vibrare ancora i fogli sotto la sua penna. Ne rimase dapprima disorientato e stupito, poi sbigottito ed incredulo, infine avvilito ed affranto. Quanto si strusse, macerò, tormentò, alla disperata ricerca di un perché, ma fu tutto inutile, non riuscì a trovare risposte, non seppe capire.
A quel punto la risma, amareggiata dall’ostinata cecità del suo uomo, tristemente delusa nel suo sogno d’amore, restò ferma ed inesorabile nel suo proposito: o tutto o niente era il suo scopo, e se niente aveva fino ad allora sortito, voleva dire che si era sbagliata, che xy non era forse come aveva sperato che fosse, che non avrebbe vissuto con lui quel rapporto totalizzante ed assoluto tanto vagheggiato. Sempre più convinta della mediocrità del poeta, finì anzi per disamorarsene del tutto, abbandonandolo, con pochi rimpianti, al suo destino mortale e finito, alla sua sconfortante miopia. Ben presto si volse ad altri progetti, ad altre schermaglie, ad altri legami più duraturi e promettenti.
Non fu così per xy che, stremato e distrutto dagli aridi tentativi di ricreare i bei tempi gloriosi ma ancora incapace di darsi risposte, tracciò un giorno di fretta, su un quaderno trovato per caso, l’epitafio di quell’inconsueta, triste vicenda: «E’ terribile voler scrivere qualcosa e non poterlo più, sentirsene assaliti dalla voglia e subito dopo abbandonati. E’ una sensazione singolare: impellente, improvvisa aspirazione ad un momento lirico che in ultimo rimane solo vago struggimento e leggerissima nausea. L’urgente, intenso desiderio di ricostruire il dialogo con la carta, che tenace si ribella, alla fine mi lascia sempre più spossato ed avvilito, senza poter trovar requie. Io ho bisogno di scrivere, ma non posso, Lei non mi vuole più …»
Così finì l’amore tra il poeta xy e la sua risma di carta né la storia narra di successivi ritorni di fiamma.
Toccata e fuga apre la raccolta Sirene Chimere ed altri animali, Solfanelli (Ch), 1993
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La foto è di Lorenzo Avico